Un'immagine degli scontri al centro di Roma - Foto da open online |
Sono giovani, militanti di destra, centri sociali... Manca un progetto per includere le periferie
Le decisioni del Governo per la lotta alla pandemia non sono state facili. C'è un'urgenza perché il Covid-19 avanza. Alcune categorie sono state molto colpite dai provvedimenti e hanno legittimamente protestato.
Ma c'è stata un'altra protesta che ha dato luogo a episodi di violenza: quella di una galassia di periferici, di militanti di destra, di centri sociali, di ultrà e di giovani italiani e di origine straniera. I messaggi di rivolta e di violenza correvano via social. I periferici sono stati al centro, bloccando il traffico, rompendo le vetrine. Non è uguale dovunque. A Napoli si sospetta l'infiltrazione della camorra. Contro cosa protestano? Certo il Governo e le sue decisioni. Gridano: libertà!
Ma vogliono affermare la propria esistenza e lo fanno nei centri della città, dove non abitano. Filmano i loro atti: «Se fai una cosa e non la fai sapere al tuo mondo, ai tuoi follower, non esisti», racconta qualcuno a La Stampa. Mi ricordano le parole di un ragazzo nordafricano durante le rivolte nelle banlieue di Parigi, uno dei famosi casseurs: «Esisto perché rompo e incendio».
È una rivolta di giovani senza prospettive e futuro, di periferici, di esclusi, di chi si è settarizzato in gruppi alternativi e poi di tanti arrabbiati. Quasi non avessero paura della pandemia, forse perché sentono di non avere niente da perdere, forse perché è un'occasione di contrapporsi a un clima unanimista. I fari si sono accessi su questi episodi di "rivolta" e si grida all'allarme. Ma domani tutto sarà dimenticato. Viviamo di emergenze e non c'è un progetto di crescita. Papa Francesco ha scritto in Fratelli tutti (un documento troppo presto oscurato in un'opinione pubblica mutevole e incapace di concentrazione): «Un progetto con grandi obbiettivi di sviluppo... oggi suona un delirio».
Settori alternativi sono fisiologici in una società aperta e democratica, ma molti giovani hanno la sensazione di scontrarsi con il "mondo chiuso" (come dice Francesco) delle città in cui non c'è posto per loro, di periferie dove, fin da giovani, si è scartati dai circuiti di promozione della propria vita. Oggi dibattiamo sulle misure prese per il coronavirus. È giusto. Ci sono rimproveri da fare: penso al tempo perduto durante l`estate, quando si poteva approntare una rete ausiliaria per decongestionare i trasporti, o ripensare a forme di visita agli anziani negli istituti. Ma è anche il momento dell'unità.
Ci vuole un progetto per le nostre città. Da anni, governi e amministrazioni hanno mancato questo progetto: reintegrare e ricostruire le periferie, creare circuiti di socialità e di promozione per i giovani, di aiuto per gli anziani. L'esclusione di giovani e anziani sono i due estremi più gravi della periferizzazione. I fondi europei saranno occasione per pensare a questa urgenza? Oppure ci troviamo all`inizio di processi pericolosi di contrapposizione tra la città e quanti si sentono ormai anti-città.
Francesco ricorda: «La solitudine, le paure e l'insicurezza di tante persone, che si sentono abbandonate dal sistema, fanno sì che si vada creando un terreno fertile per le mafie». D'altra parte disperazione ed esclusione possono portare a logiche di contrapposizione violenta. Ma quanto abbiamo vissuto può essere anche un segnale che ci sveglia a una nuova operosità.
Editoriale di Andrea Riccardi su Famiglia Cristiana dell'8/11/2020
Commenti
Posta un commento