L'ambasciatore Luca Attanasio in visita al centro DREAM di Kinshasa - Foto Sant'Egidio |
La morte di un uomo richiama, almeno per un momento, al valore e al senso della sua vita. L'assassinio dell'ambasciatore Luca Attanasio, del carabiniere Vittorio Iacovacci e del loro autista Mustapha Milambo ci fa riflettere in un periodo in cui, causa la pandemia, siamo concentrati sui problemi personali e nazionali. Milambo, subito freddato dagli assassini sulla strada del Kivu, è un congolese che, come tanti, ha perso la vita in un agguato in un Paese dove lo Stato è a pezzi e non impone la sua autorità alle milizie e ai banditi.
Un contadino del Kivu, intervistato da Pietro Del Re, ha detto: «È terribile quello che hanno fatto, un massacro al quale purtroppo siamo abituati, poiché siamo le prime vittime di quei criminali». La morte di un autista congolese non avrebbe fatto notizia. La vita vale poco in Congo.
L'ambasciatore Attanasio l'aveva capito e, con sua moglie, aveva amato un Paese bello, ricco, abitato da gente varia e vivace, ma anche infestato da tanta corruzione, dominato da signori della guerra, con regioni intere dimenticate. Svolgeva il suo compito di rappresentante della Repubblica con dedizione e intelligenza, favorendo i buoni rapporti tra Roma e Kinshasa, culminati nella visita in Italia del presidente della Repubblica Felix Tshisekedi. Era un autorevole diplomatico con relazioni intense con la politica e l'economia congolese. Non limitava però il lavoro professionale alle élite.
Si era appassionato al dramma quotidiano della vita di tanti in Congo: persone in difficoltà (la moglie dell'ambasciatore aveva creato la Ong Mama Sofia), bambine di strada, malati di Aids, come quelli di Dream. Attanasio e sua moglie avevano capito che bisognava aiutare uno dopo l`altro l'umanità dolente congolese. Cercavano di farlo, ma anche sostenevano quanti, italiani e non, si impegnavano in questo senso. Mi pare anche lo scopo del viaggio in Kivu, dove ha perso la vita pure il carabiniere Vittorio Iacovacci, uno dei militari che, con professionalità, discrezione e umanità presidiano le nostre ambasciate.
Vorrei notare che Attanasio è l'espressione non solo dell'alta professionalità di un diplomatico radicato nel Paese, ma di un'umanità italiana, quale anche si può riscontrare tra carabinieri o militari delle nostre missioni di pace nel mondo. Forse lo capiamo meglio in momenti dolorosi o all'estero: nell'essere italiani c'è generalmente un'umanità, fatta di simpatia e apertura, ma anche di pietas, aliena da senso di superiorità, capace di spingere ad affratellarsi con le persone più diverse. Non è la retorica degli italiani brava gente, ma l'esperienza personale di chi - come me - ha incontrato tanti tipi di questa umanità italiana in Africa, all'estero, nel nostro Paese. Non siamo certo tutti così. Ma c'è un'umanità italiana che ci caratterizza. Attanasio la incarnava bene, con scelte personali, una storia di fede, una famiglia gioiosa, una semplicità cordiale, una professionalità solida. Siamo addolorati della loro morte prematura e violenta. Tristi per la situazione del Congo. Ma siamo anche orgogliosi di quest'italiano, un vero ambasciatore d'Italia e del nostro umanesimo che ha a cuore la pace.
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