Il Papa all'incontro interreligioso a Ur - Foto Vatican Media |
Francesco ha indicato strade di futuro e di pace a gente imprigionata nei dolori del passato
I1 Papa, con il suo viaggio, ha guidato la nostra attenzione verso l'Iraq, una terra travagliata, ormai fuori dai nostri riflettori e interessi. Resta un'area di guerra, che ha sofferto il regime dittatoriale di Saddam Hussein, i conflitti tra gruppi etnici e religiosi, la follia brutale del sedicente Stato islamico, che aveva posto la propria capitale a Mosul, per secoli la città più cristiana del Paese.
In Iraq, recentemente, i cristiani sono stati uccisi per il solo fatto di essere tali oppure perché andavano in chiesa, com'è avvenuto anche a Baghdad nella cattedrale visitata dal Papa. I1 loro martirio si connette alle sofferenze di tutto il popolo: gli sciiti maggioritari nel Paese, uccisi e perseguitati da Saddam Hussein; i curdi combattuti dal dittatore; gli yazidi massacrati e schiavizzati dagli islamisti; le lotte religiose ed etniche; il terrorismo...
Ogni gruppo ha la sua storia di dolore ed è stato vittima del fanatismo, dell'odio e delle armi. Tutto è molto doloroso e complesso. È semplificatorio e fuorviante dire: è colpa dei musulmani! Magari per aggiungere: evitiamo di farli entrare in Italia, come immigrati o rifugiati, perché porteranno violenza e disordine! In Iraq ci sono stati musulmani fanatici e assassini, ma la maggior parte delle vittime irachene sono musulmane. Francesco ha avuto l'umiltà d'incontrare ogni realtà, di ascoltarne i dolori.
Ha indicato una strada per uscire dallo stallo della contrapposizione e della paura: «La via che il Cielo indica... è la via della pace», ha detto a Ur, partendo dalla memoria di Abramo, padre di ebrei, cristiani e musulmani: «Essa chiede, soprattutto nella tempesta, di remare insieme dalla stessa parte». Il Pontefice avrebbe potuto rivendicare le reali sofferenze dei cristiani, ma ha parlato a tutti gli iracheni, gettando le basi per una convivenza fraterna, su cui deve fondarsi lo Stato, garantendo libertà e sicurezza per ognuno.
È andato a visitare, nella sua modesta casa, nella città santa di Najaf, il Grande ayatollah Al Sistani, marja', cioè fonte d'imitazione, la personalità più autorevole nel mondo islamico sciita: i comunicati dopo l'incontro mostrano concordia sui temi della pace e del mutuo rispetto, nonché sulla difesa dei cristiani. Come nella Fratelli tutti, Francesco ha tenuto un linguaggio umanista, aperto a tutti e radicato nella fede evangelica. L'evangelismo umanista del Papa ha toccato un livello di grande profondità, che ha coinvolto tutti gli interlocutori.
Francesco ha parlato di futuro a gente imprigionata nei dolori e nelle contrapposizioni del passato: «Abbiamo bisogno, come il grande patriarca [Abramo], di fare passi concreti, di peregrinare alla scoperta del volto dell'altro, di condividere memorie, sguardi e silenzi, storie ed esperienze». Incontrare e includere nella fraternità: l'umanesimo evangelico ha avuto la sua prova del "fuoco" misurandosi con l'odio e il dolore in Iraq.
Noi, in questa parte del mondo, in Italia, fatti attenti a situazioni così drammatiche, abbiamo molto da imparare. Tante volte, come cristiani, siamo silenziosi dinanzi alla situazione del nostro Paese e della vita della gente. Ascoltando il Papa in Iraq, ci accorgiamo di quale tesoro di vita e quale speranza del futuro è nei "forzieri" della Chiesa. Forse bisogna aver il coraggio di aprirli e di vivere secondo le ricchezze di speranza e di profezia che essi contengono.
Editoriale di Andrea Riccardi su Famiglia Cristiana del 14/3/2021
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