Il Papa tra le rovine di Mosul - Foto Vaticano |
Male, sofferenza e odio non hanno l'ultima parola: la pace si ottiene eliminando la logica del nemico
Famiglia Cristiana ha dato ampio spazio alla visita di Francesco in Iraq, un Paese segnato da ripetuti conflitti e dal terrorismo, dove le differenze religiose ed etniche rendono difficile la convivenza pacifica. Io pure ne ho sottolineato il valore "storico", e non è retorica. Molti, più di quanto si creda, hanno seguito il viaggio, considerato molto pericoloso dai servizi segreti. Ma Bergoglio ha voluto compierlo e ha avuto ragione.
Ha dato un grande segno ai cristiani e al mondo. Ora il viaggio è felicemente concluso, mentre noi in Italia affrontiamo una stagione difficile con il Covid, con notevoli restrizioni e la paura del contagio.
Che significa ancora per noi quel viaggio? Ci sono motivi per dire che, pur ammirando il coraggio di Francesco, ci riguarda poco, perché siamo alle prese con seri problemi sanitari ed economici, nostri e dei nostri cari.
Eppure, proprio ora, quel viaggio parla anche a noi. Innanzitutto, i cattolici sono coinvolti nelle parole, nei gesti e segni del vescovo di Roma: essere cattolici oggi vuole dire vivere nella realtà dove siamo con i suoi problemi, ma anche avere uno sguardo più largo al mondo. Francesco ci guida e ci aiuta a essere "locali", ma anche un po' "globali". Del resto, cattolico vuole dire universale. Il confronto con i drammi degli iracheni ci distrae dalla concentrazione su noi stessi, che talvolta scivola nel vittimismo.
Non siamo soli al mondo ad avere problemi. Ci sono altri che soffrono, anzi che hanno sofferto tanto come i cristiani in Iraq e gran parte degli abitanti del Paese. I pochi cristiani rimasti, circa 200mila, sono testimoni di un dolore grande. Tra loro ci sono stati martiri, uccisi per la fede o perché hanno offerto la vita per gli altri. L'Iraq, il mondo, sono pieni di sofferenza.
Il Papa ha dato un grande insegnamento: si può vivere in pace solo con l'eliminazione della logica del nemico. Tale logica ha predominato in Iraq per anni. Non solo lì: direi che è una logica diffusa ovunque, seppure in forme diverse.
Il Papa ha parlato tra le rovine delle chiese distrutte dai terroristi: ha detto che si può ricostruire solo con il dialogo e la fratellanza, non con l'odio. Durante la Messa alla cattedrale caldea, seguita per televisione da tanti musulmani, il patriarca caldeo Sako ha voluto leggere le Beatitudini. Ovunque dobbiamo vincere la logica dell'estraneità e del nemico e andare sulla via indicata dall'enciclica Fratelli tutti.
Il viaggio del Papa in un Paese lontano è una parabola che parla anche a noi. Non è stato solo un atto di coraggio o un incoraggiamento per gli iracheni, ma una parabola per tutti i cristiani, anche italiani, in questo periodo difficile.
La vita è anche faticosa e piena di problemi (questa è la realtà), che non sono però la triste parola finale. Nella fatica e tra i problemi, con tenacia e con speranza, si può costruire una via di serenità e di pace nel nostro ambiente quotidiano, ma anche nei più difficili scenari del mondo. È la via per riparare il mondo dal basso (laddove siamo), senza lasciarci prendere dalla rassegnazione, dal lamento su di noi o da deprimenti vittimismi. Infatti, dall'Iraq, durante il viaggio di Francesco, veniva anche un forte messaggio di gioia: il male, la sofferenza e l'odio non sono un destino definitivo.
Editoriale di Andrea Riccardi su Famiglia Cristiana del 21/3/2021
Commenti
Posta un commento