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Visualizzazione dei post da aprile, 2021

Usa, bisogna superare il "velo del colore"

Gli afroamericani chiedono uguaglianza, i bianchi si sentono minacciati. La politica deve pacificare La giuria del Tribunale di Minneapolis ha condannato all'unanimità il poliziotto bianco Derek Chauvin per aver soffocato a morte l'afroamericano George Floyd. Ora tocca al giudice emettere la sentenza sugli anni di carcere. La tensione rimane molto alta. La sentenza era attesa dalla comunità afroamericana e dai suoi sostenitori, stretti attorno al movimento Black Lives Matter. Dalla sanguinosissima guerra civile, si è sviluppata una società spesso in bilico tra segregazione e unità.  La società statunitense fatica a oltrepassare il "velo del colore" che annebbia la sua coscienza. Forme di apartheid hanno talvolta minato la compattezza del Paese, rendendolo ingiusto anche nella giurisprudenza. Si pensi alla competizione dei "nativi Wasp" (bianchi anglosassoni e protestanti) con gli irlandesi; poi con gli italiani e le nazionalità europee, fino al grande popolo...

Il conflitto etnico in Etiopia, ignorato dal mondo. Se il Nobel per la pace rivela il suo volto da guerrafondaio...

Un gruppo di profughi del Tigrai - Foto UNHCR/Hazim Elhag Il premier Ahmed, con l'aiuto degli eritrei, ha scatenato una campagna d'odio contro la minoranza cristiana dei tigrini In Etiopia c'è una guerra che non fa rumore: né immagini né presenza dei media. Nel 2018, Abiy Ahmed, divenuto premier (primo del gruppo etnico oromo ad accedere a tale carica), aveva suscitato grandi speranze con segni concreti di cambiamento, tra cui la pace con l'Eritrea, tanto da meritare il Premio Nobel nel 2019 . Oggi alcuni credono che quell'accordo nascondesse una volontà egemonica che ora ha gettato la maschera: gli oromo, da sempre marginalizzati, hanno stabilito una nuova alleanza con gli amhara (antichi detentori del potere) per liberarsi dell'egemonia dei tigrini.  La rivalità tra popoli è iscritta nell'antica storia etiopica, in particolare tra tigrini e amhara cristiani, con gli oromo musulmani, marginali ma più numerosi. Con la vittoria del Fronte tigrino di liberaz...

La crisi in Giordania: a rischio un'oasi di pace nel caos del Medio Oriente

Il regno di Abdallah confina con Israele, Siria, Arabia Saudita e Iraq e ospita un altissimo numero di rifugiati Tutto è complicato e in movimento in Medio Oriente: le crisi si susseguono. Un solo Paese è stabile: la Giordania, su cui regnano gli hashemiti, famiglia che discende dal profeta Maometto. Ora il re Abdallah è stato scosso da una congiura, che coinvolge il fratellastro, principe Hamzah (un tempo erede al trono, che poi ha dovuto lasciare il posto al figlio di Abdallah). Il re ha assicurato che la situazione è sotto controllo e Hamzah ha dichiarato fedeltà al sovrano.  È una faida da famiglia reale, forse un po' più significativa di quella dei Windsor, con le rivelazioni del principe Harry e della moglie Meghan. Si gioca la stabilità di uno Stato al confine di Israele, Siria, Arabia Saudita e Iraq, che si affaccia sul Mar Rosso con il porto di Aqaba.  C'è stato un grande allarme internazionale. Il presidente Biden ha telefonato al re per sostenerlo. La crisi sembra ...

L'Indonesia ci ricorda i cristiani che rischiano la vita per la fede

Nel Paese asiatico, che pure ha una tradizione pacifica, molti giovani sono attratti da un islam radicale Un'esplosione la domenica delle Palme nella cattedrale cattolica di Makassar, importante città dell'Indonesia con più di un milione di abitanti, ha risvegliato l'attenzione internazionale sui cristiani nel Paese. Tre morti: i due attentatori (una giovane coppia) e un addetto alla sicurezza che, coraggiosamente, ha evitato che l'attentato divenisse una tragedia di vaste proporzioni. Una ventina i feriti. Gli attentatori appartengono al Jihad, gruppo terroristico in ascesa che recluta tra i giovani (cui sono attribuiti 15 altri attentati). L'Indonesia è il più grande Stato musulmano del mondo: 270 milioni di abitanti, di cui l'88% islamico. Ma il 92% dei musulmani - secondo i sondaggi - rifiuta l'ideologia radicale di Daesh.  Tutta la storia dell'Indonesia, indipendente dal 1945, mostra come l'islam conviva con le altre religioni, nonostante momen...

Dante: l'Italia è nata grazie alla sua lingua

Dopo aver favorito l'unità culturale ha incarnato lo spazio umano e geografico del nostro Paese nel mondo Il Dantedì, a settecento anni dalla morte di Dante Alighieri, non è una ricorrenza per studiosi. Il 25 marzo è anche una festa di quella lingua che è ancora la nostra lingua.  Siamo diventati italiani, parlando la lingua di Dante, grazie alla grande potenza poetica della Divina Commedia . L'opera apparve meravigliosa, fuori dall'ordinario ai contemporanei. Lo dovette ammettere anche il dotto bolognese Giovanni di Virgilio che, pur colpito dalla lettura dell` Inferno e del Purgatorio , si rammaricava che Dante scrivesse «nella lingua della piazza» e non in latino. Si sarebbe dovuto esprimere in questa lingua per fare vera cultura. Ma Dante parla per la vita e non per l'accademia. Aveva scelto di usare la lingua «cui i bambini vengono abituati da chi sta loro accanto quando per la prima volta cominciano ad articolare distintamente le parole»: la lingua delle mamme e ...