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L'Indonesia ci ricorda i cristiani che rischiano la vita per la fede


Nel Paese asiatico, che pure ha una tradizione pacifica, molti giovani sono attratti da un islam radicale

Un'esplosione la domenica delle Palme nella cattedrale cattolica di Makassar, importante città dell'Indonesia con più di un milione di abitanti, ha risvegliato l'attenzione internazionale sui cristiani nel Paese. Tre morti: i due attentatori (una giovane coppia) e un addetto alla sicurezza che, coraggiosamente, ha evitato che l'attentato divenisse una tragedia di vaste proporzioni. Una ventina i feriti. Gli attentatori appartengono al Jihad, gruppo terroristico in ascesa che recluta tra i giovani (cui sono attribuiti 15 altri attentati). L'Indonesia è il più grande Stato musulmano del mondo: 270 milioni di abitanti, di cui l'88% islamico. Ma il 92% dei musulmani - secondo i sondaggi - rifiuta l'ideologia radicale di Daesh. 

Tutta la storia dell'Indonesia, indipendente dal 1945, mostra come l'islam conviva con le altre religioni, nonostante momenti di tensione. Lo Stato indonesiano riconosce ufficialmente islam, protestantesimo, cattolicesimo, induismo, buddismo, confucianesimo. L'Indonesia non è mai divenuta uno Stato confessionale islamico, nonostante la maggioranza assoluta di cittadini musulmani e alcune spinte in questo senso. Nel Paese delle 17.000 isole dove si parlano una ventina di lingue, alla base dello Stato c'è il rispetto del pluralismo. Il motto nazionale ("Molti, ma uno") esalta l'unità nella diversità: è iscritto nella colonna di Monas, nella centrale piazza Merdeka di Giacarta. Lì ci sono pure la cattedrale cattolica e la grande moschea sunnita. 

L'islam indonesiano ha una storia che precede la formazione dello Stato unitario nell'ex colonia olandese. Si propagò con i mercanti, non con la conquista. Si è acclimatato con le tante culture regionali delle isole. È variegato al suo interno. In esso dominano due grandi confraternite: la Muhammadiyah e la Nahdlatul Ulama. Quest'ultima, molto legata alla cultura locale e nazionalista, conta 60 milioni di fedeli ed è la più vasta organizzazione islamica del mondo. Dalla sua dirigenza, qualche anno fa, è uscito un presidente del Paese, Abdurrahman Wahid. Era un personaggio di rilievo che ho incontrato varie volte: non vedente, attivissimo, difensore della democrazia e dei diritti umani. Amava qualificarsi come "musulmano gandhiano". La Muhammadiyah (40 milioni) è animata da un islam aperto al dialogo interreligioso e ha una vasta rete di solidarietà sociale. 

C'è però una spinta alla radicalizzazione tra i musulmani, spesso giovani. Il fascino del Jihad costituisce, nel mondo musulmano, una pericolosa attrazione per alcune frange, non solo in Indonesia. I cristiani hanno sofferto della crescita dell'estremismo. Il governo indonesiano resiste, affermando che un islam maggioritario può vivere nel rispetto della democrazia e delle minoranze. Ci sono, però, ambienti e gruppi che vogliono mostrare il contrario. L'islam indonesiano è la prova che radicalismo, violenza e totalitarismo non sono l'inevitabile destino di questa religione. Ma l'attentato alla cattedrale di Makassar ci chiede di ricordare sempre quei cristiani che rischiano la vita per vivere la loro fede.



Editoriale di Andrea Riccardi su Famiglia Cristiana dell'11/4/2021

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