A proposito di Nadia De Munari e il vescovo Carlassare: Nessuno può uccidere l'amore cristiano che è senza confini
Gli agguati a due missionari italiani. Storie così ci ricordano quei concittadini che scelgono di vivere in mondi poveri e sferzano le nostre coscienze
Due fatti drammatici hanno toccato due italiani nel mondo: l'uccisione della missionaria laica cinquantenne Nadia De Munari, in Perù, e il ferimento del comboniano Christian Carlassare, 43 anni, nominato vescovo della diocesi di Rumbek in Sud Sudan. Entrambi sono vicentini. Ci ricordano che ci sono italiani che hanno scelto di vivere in mondi poveri fuori dall'Italia.
Non è una storia di anziani missionari, figli di un'Italia di altri tempi. Sono fatti dolorosi che ci risvegliano dalla concentrazione sui problemi della nostra vita quotidiana, aggravata da mesi di pandemia, che pur essendo un fenomeno globale paradossalmente spinge all'isolamento e alla preoccupazione per sé o al massimo per il proprio ambiente. Ma i cristiani, soprattutto in quest'era globale, non possono vivere concentrati su di sé. In qualche modo, anche gli italiani, per storia e conformazione del Paese, sono spinti all'estroversione verso altri mondi.
La vita della Chiesa apre all'amicizia con gli altri e alla solidarietà con i loro dolori. È la storia di Nadia, maestra da quattro anni a Nuovo Chimbote, in Perù (ma da molto in quella nazione latinoamericana), una baraccopoli di più di 50 mila immigrati senza servizi. Perché uccidere una donna che faceva solo bene? La sorella avanza un'ipotesi: «Scuola significa istruzione, emancipazione. Non vorrei che questa attività di mia sorella avesse dato fastidio a chi gestisce quelle persone con violenza, sfruttamento e oppressione».
È la forza dell'amore e dell'educazione che scuote le radici di poteri oscuri. Nadia ha alle sue spalle la corrente "gloriosa" di solidarietà e volontariato, messa in movimento dall'Operazione Mato Grosso, che ha convogliato tanti verso la partecipazione e la solidarietà con i bisogni del mondo. Uno dei principi ispiratori era all'inizio: «Rompere il guscio della famiglia, della parrocchia, della nazione: è essere missionari».
Che paura faceva il giovane missionario comboniano, nominato in una diocesi da anni senza vescovo per la fatica di trovarne uno estraneo alle divisioni del clero locale? I cattolici di Rumbek avevano accolto padre Christian con gioia. La sua nomina segnava la fine del monopolio di un gruppo ecclesiastico (ed etnico) che aveva in mano la diocesi. Colpirlo alle gambe è un avvertimento mafioso: non pensasse di prendersi cura di quella Chiesa come vescovo! In realtà l'atto criminoso, proprio se proveniente da ambienti interni alla Chiesa, mostra quanto invece ci sia bisogno di padre Christian a Rumbek, mentre rivela come il popolo di quella diocesi abbia un senso della Chiesa più genuino dei propri preti.
La storia di questi due italiani missionari ci dice quanto alcune vaste parti del mondo abbiano bisogno della solidarietà e della missione dei cristiani. Anche di noi cattolici italiani.
Con la pandemia, la Chiesa italiana è alla ricerca di senso e di nuove strade: non è la vita di questi due testimoni proprio un messaggio per tutti? Un messaggio di entusiasmo per il vivere cristiano che sfida le nostre comunità, forse un po' spente nella speranza e nella generosità.
Editoriale di Andrea Riccardi su Famiglia Cristiana del 9/5/2021
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