L'annuncio della stipula dell'Aukus il 15 Settembre - Foto US Embassy Canberra |
La globalizzazione vive sugli oceani. Pur di arginare Pechino, Washington non esita a irritare Parigi
La scelta del presidente Biden di armare l'Australia con sommergibili a propulsione nucleare non deve meravigliare: da tempo la strategia di contenimento della Cina in Asia è diventata la priorità statunitense. La globalizzazione vive sui mari. Lì si svolge la sfida tra superpotenze. Il 90% del mercato globale passa per gli oceani. Grazie al crescente peso manifatturiero dell'Asia, le rotte predominanti non sono più atlantiche, ma quelle che connettono Pacifico e Oceano Indiano. I cinesi vi hanno costruito hub portuali che dovrebbero giungere fino in Italia. L'accesso ai mari orientali, che Washington già possiede con le sue basi, è ora una priorità per Pechino. Preoccupati, nel 2007 indiani e giapponesi hanno ottenuto da Stati Uniti e Australia la creazione del Quad, o dialogo quadrilaterale di sicurezza. L'Australia teme la corte serrata di Pechino ai suoi alleati storici (Vanuatu o le Fiji) e l'effetto strangolamento. Così, dal 2018, il porto australiano di Darwin è aperto alle navi da guerra statunitensi, prodromo di ciò che avviene ora con i sottomarini e l'Aukus (l'alleanza Australia, Gran Bretagna, Stati Uniti).
La percezione di Pechino è opposta: la Cina si sente circondata. Rivendica da anni diverse isole del Mar Cinese meridionale e fa pressioni in quello orientale. Ha trasformato sette scogli di barriera corallina in piattaforme militari con piste di atterraggio. La posta in gioco è il libero accesso agli oceani. Nel Pacifico, gli Stati Uniti rimangono ancora dominanti, ma la Cina avanza. Pechino si percepisce "ostacolata" dalle catene degli arcipelaghi che la circondano: Giappone, Filippine, Borneo, Isole Marianne. Ma anche da Paesi come Vietnam o Indonesia. Così la Marina cinese ha aumentato la propria capacità. Pechino accusa inoltre gli Stati Uniti di ripetere lo schema della guerra fredda con una Nato in versione asiatica.
La Francia stava negoziando da tempo con Canberra per la vendita di sommergibili e si è trovata all'improvviso fuorigioco. Ha protestato con gli Stati Uniti, anche perché è presente nel Pacifico (in Oceania conta 1,6 milioni di cittadini francesi e 9 milioni di chilometri quadrati di zona economica esclusiva francese). Tuttavia gli Stati Uniti hanno preferito dare priorità all'anglosfera anche perché con l'Australia già condividono Echelon, rete di basi segrete per lo spionaggio globale.
L'Europa è sempre più nell'angolo. Il Mediterraneo è divenuto un teatro secondario rispetto all'Asia. Malgrado Biden sia più cortese e non faccia le sfuriate di Trump, gli statunitensi sono convinti che gli europei dovrebbero prendersi la responsabilità della Nato, spendendo di più e occupandosi efficacemente delle crisi in Medio Oriente. Del resto l'Unione europea parla di difesa europea senza realizzarla. Oggi si tratta di un problema economico per le difficoltà dovute alla pandemia, ma è anche una decisione politica, su cui difficilmente tutti gli europei si ritroveranno. Sarebbe più realistico che alcuni Paesi (Francia, Germania, Italia o altri) ponessero insieme le basi di un sistema di difesa comune, assumendosi le loro responsabilità. Non si dimentichi soprattutto che è ancor più produttivo per tutti cercare le chiavi di un dialogo politico che faccia calare la tensione globale, getti le basi del vivere insieme nel mondo globale e allontani i rischi di scontri, sempre possibili.
Editoriale di Andrea Riccardi su Famiglia Cristiana del 3/10/2021
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