Papa Francesco con il grande imam di Al Azhar, al-Tayyib, a Roma il 7 Ottobre - Foto Sant'Egidio |
Da Wojtyla a Bergoglio, il dialogo fra le fedi continua e dà frutti: l'obiettivo è costruire il mondo post-pandemico
Trentacinque anni fa, il 27 ottobre 1986, Giovanni Paolo II invitò gli esponenti delle Chiese cristiane e delle grandi religioni ad Assisi per pregare l'uno accanto all'altro per la pace, non più l'uno contro l'altro come era avvenuto in passato. Il gesto suscitò perplessità nella Chiesa cattolica: non si metteva il cristianesimo sullo stesso piano delle altre religioni? Non si rinunciava così alla verità per un indifferentismo che faceva le religioni tutte uguali? Era il tempo della Guerra fredda.
Nel 1989 però cadde il Muro e si delineò uno scenario differente: le religioni rischiavano di giocare un ruolo, come una nuova ideologia, per benedire i conflitti, la violenza e anche il terrorismo. Giovanni Paolo II l'aveva intuito. Aveva assistito al ritorno di Khomeini in Iran nel 1979 e alla creazione di uno Stato islamico e di una base ideologica del radicalismo islamico.
Per il Papa la pace era al fondo del messaggio delle religioni. Esse, insieme, dovevano disarmare i cuori e fondare la convivenza umana in pace. Sognava che, da Assisi 1986, partisse un movimento di affratellamento delle religioni in favore della pace. Ma ci fu una forte spinta a fare dell'evento di Assisi un fatto isolato per paura, forse pigrizia, per una visione teologica.
Dal 1987, la Comunità di Sant'Egidio ha continuato, anno dopo anno, gli incontri tra esponenti religiosi nello spirito di Assisi, partendo dalla preghiera. Giovanni Paolo II ha sostenuto questo itinerario.
L'ultimo incontro è stato a Roma con la partecipazione di papa Francesco. Non che prima del 1986 non ci fossero dialoghi, ma spesso erano incontri accademici o teologici, bilaterali, che non coinvolgevano i popoli.
La forza dell'evento di Assisi fu anche quella di un'immagine delle religioni riunite insieme davanti al mondo. Un'icona di pace. Si doveva continuare. Non è stato facile. Le religioni erano abituate al monologo e a pensarsi sole. La strada è stata lunga: «È necessaria una pazienza geologica», affermava un costruttore di dialogo. Poi sono accaduti fatti che apparivano delle smentite, come i terribili attentati dell'1l settembre 2001. «A che serve il dialogo di fronte a tanta violenza?», chiedevano molti. Non è un atteggiamento debole e controproducente?
A queste domande rispondo che il dialogo è come la preghiera: come sarebbe il mondo senza preghiera e dialogo? Chiuso e poco umano.
Così, di anno in anno, gli incontri tra le religioni hanno mostrato vari frutti. Frutti di pazienza, perché non è un'operazione politica, ma una maturazione profonda di leader e fedeli di tutte le religioni. Inoltre, l'emigrazione ha avvicinato genti di religioni diverse, interpellate su come vivere insieme. Soprattutto la pandemia ha cambiato molto: un'esperienza di dolore globale in cui - come ha detto papa Francesco - ci si è trovati tutti nella stessa barca. Oggi ho coscienza che le religioni, nonostante le differenze profonde, sentano di dover costruire insieme il mondo post-pandemico.
L'enciclica Fratelli tutti di Francesco ha avuto echi fuori dalla Chiesa cattolica. Oggi viene studiata anche nelle istituzioni universitarie musulmane. È il frutto del Documento sulla fraternità umana per la pace mondiale e la convivenza comune, firmato nel 2019 ad Abu Dhabi dal Papa e dal grande imam di al Azhar, al-Tayyib, una piattaforma di dialogo per tanti musulmani che sono in sofferenza per l'accaparramento dell'islam da parte degli estremisti.
Quanto avviene nel mondo delle religioni è un segno di speranza, che mostra come la pazienza dell'incontro, in trentacinque anni, abbia smentito i pessimisti e abbia dato frutti significativi. Per questo, papa Francesco, chiudendo l`incontro di Roma dell'ottobre scorso, ha potuto indicare una prospettiva: «Religioni sorelle, popoli fratelli».
Editoriale di Andrea Riccardi su Famiglia Cristiana del 7/11/2021
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