Tra Salento e Calabria 1100 arrivi. Italia, Spagna, Francia e Germania possono creare politiche più umane
Non c'è tregua per Natale sul fronte del Mediterraneo: barche affondate, altre catturate dai libici, tanti morti, nuovi sbarchi. Ricordava Giorgia Linardi, su La Stampa, che, perfino per il Natale 1914 durante la Grande guerra, ci fu una tregua tra combattenti. Oggi, invece... Un numero imprecisato di persone è morto vicino alla Libia, anche inseguite della guardia di frontiera libica.
In Salento e in Calabria sono sbarcate 1.100 persone. Altri sono in mare e attendono navi delle Ong.
Siamo abituati a queste notizie. Le scorriamo in fretta. Sembra tutto uguale.
La contabilità del dolore, però, è pesante: in un anno 1.500 morti nel tentativo di lasciare la Libia; più di 25.000 catturati dalla marina libica e portati indietro. In 64.000 hanno raggiunto l'Italia dopo un viaggio periglioso.
Ogni storia è un dramma particolare. Per troppi c'è stata la terribile permanenza in Libia. Nel mondo globale, le gente continua a spostarsi e fuggire. I dolori si moltiplicano. Non basta invocare respingimenti severi come i muri. Innanzitutto, va detto che l'Italia ha bisogno di lavoratori stranieri.
Lo mostra il nuovo "decreto flussi" per 70.000 persone (richiesto dagli imprenditori). Ci vorranno presto integrazioni, perché restano settori scoperti, tra cui quello crescente della cura della persona, per esempio le badanti.
Ci sono molte situazioni incancrenite, dove i profughi restano prigionieri senza speranza. Penso ai campi dei siriani in Libano (paese in gravissima crisi). L'apertura di "corridoi umanitari" è un segno di speranza per i rifugiati e un aiuto ai Paesi ospitanti. Le società europee possono permettersi questa solidarietà. E talvolta lo vogliono, al di là della politica. Non possiamo lasciare i profughi e i migranti solo alla Turchia (a pagamento) o al Libano. Non dobbiamo lasciarli in Libia dove non sono garantiti i diritti umani, come ha dichiarato l'Unhcr.
La Libia, rinviate le elezioni, sembra ritornata nel caos. La comunità internazionale deve ritrovare un'intesa sul Paese nordafricano e imporla ai libici, perché quella terra non è più vivibile per loro e gli stranieri. C'è poi la Tunisia, immiserita e a rischio, in cui continuare a intervenire.
La carenza di una politica mediterranea mostra i limiti dell'Unione Europea, dove troppi Paesi, specie dell'Est, non si assumono responsabilità. Si veda l'assenza di solidarietà verso gli altri Paesi europei nell'accoglienza: può la piccola Cipro essere lo Stato che, percentualmente, accoglie più profughi di tutti nell'Unione? Non gridiamo al pericolo russo, ma guardiamo la dolorosa realtà di un mare, divenuto la tomba di tanti, sulla cui riva Sud si affacciano Paesi problematici e popolosi, come quelli nordafricani e mediorientali. Il trattato del Quirinale, l'intesa tra Francia-Italia, il consolidato rapporto franco-tedesco, la collaborazione con la Spagna sono premesse per una nuova politica europea di responsabilità.
È la risposta all'invettiva contro l'invasione e all'abbandono di tanti. Il futuro dei nostri Paesi si gioca sul Mediterraneo, come politica, accoglienza e integrazione dei rifugiati, rapporto con il Sud. I governi, consapevoli di questo, hanno la responsabilità di andare avanti con coraggio, interpretando il loro interesse nazionale, ma anche quello universale. Infatti questa è la dignità dei Paesi europei, farsi anche carico di una visione universale.
Editoriale di Andrea Riccardi su Famiglia Cristiana del 9/1/2022
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