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Quei fragilissimi ponti di pace che attraversano il Bosforo

Foto dal profilo Twitter del Presidente Erdogan

Perché la parola fine alla guerra potrebbe venire da un palazzo di Istanbul. Grazie (anche) a Erdogan

La guerra in Ucraina continua: bombardamenti, morti, profughi che abbandonano le case, città rase al suolo, come Mariupol. Non si vede la fine di tanto dolore. Intanto, a Istanbul, alla presenza e con l'intervento del presidente turco Erdogan, si è tenuta una sessione di negoziati tra russi e ucraini. Altri incontri erano stati fatti in Bielorussia in precedenza. 

Ma a Istanbul finalmente c'è un mediatore, la Turchia, che fa sentire il suo peso e la forza dei legami con l'Ucraina, che si affaccia sul Mar Nero e ha storici rapporti con i turchi, e con la Russia, da cui il Governo di Ankara (nonostante sia parte della Nato) ha comprato armamenti. Era necessario un mediatore mentre si combatte in Ucraina e le posizioni di Kyiv e Mosca sono così contrastanti. 

Inizialmente si era profilato l'israeliano Bennet, ma ora la partita è giocata dalla Turchia. I negoziati si svolgono a Dolmabahçe, il più grande palazzo turco, affacciato sul mare a Istanbul, residenza dei sultani dall'Ottocento, da dove partì l'ultimo di essi e dove è morto il fondatore della Turchia moderna, Atatürk. La solenne cornice e la presenza di Erdogan mostrano quanto la Turchia tenga al negoziato con tutto il peso della sua diplomazia. 

Molti si sono manifestati scettici sulle possibilità che le trattative vadano a buon fine. Hanno osservato come sia impossibile negoziare mentre si combatte. È infatti drammatico parlare di mediazione mentre ci si uccide sul campo o si muore in Ucraina sotto i bombardamenti russi. Ma è avvenuto in molte situazioni di conflitto. 

Il vero interrogativo è se la Russia voglia l'accordo, che riduce le sue pretese. I Paesi europei sono favorevoli alla via negoziale, anche se non gridano al successo dopo due giorni di discussioni. Del resto, quale negoziato di qualunque tipo può dare frutti in due giorni? 

Il presidente ucraino Zelensky ha, comprensibilmente, due registri: uno, alla base di tanti suoi messaggi ai parlamenti del mondo, in cui denuncia l'aggressione russa e chiede il maggior sostegno possibile, ma anche un altro che definirei trattativista. Ho l'impressione che questo secondo registro si sia rafforzato negli ultimi giorni. Il leader ucraino propone che la Russia rinunci alle obiezioni sull'ingresso nell'Unione europea di Kyvv, che non entrerebbe nella Nato ma otterrebbe garanzie alla sua indipendenza da alcuni Paesi (tra cui si parla anche dell'Italia). 

Mosca, da parte sua, chiede garanzie sulla protezione della lingua russa in Ucraina e il disarmo del Paese. C'è da capire meglio quale ruolo vogliono giocare gli Stati Uniti. 

Nelle capitali europee prevale il riserbo, se non lo scetticismo. È comprensibile, ma questa è l'unica via possibile per arrivare a un "cessate il fuoco", onde evitare che la guerra si allarghi (c'è sempre il fantasma dell'uso dell'arma atomica) o si eternizzi in terra ucraina, come è avvenuto in Siria. Sul Bosforo, a Istanbul, ci sono solidi ponti attraversati dal traffico intenso della megalopoli. Speriamo che il fragilissimo ponte di pace, lanciato dai turchi tra russi e ucraini, possa irrobustirsi e far finire presto questa sciagurata guerra.


Editoriale di Andrea Riccardi su Famiglia Cristiana del 10/4/2022

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