Il populismo non si batte soltanto alle elezioni, ma lavorando nella società per costruire il "noi"
Le elezioni presidenziali francesi si sono concluse con la netta vittoria di Macron con il 58,55% dei voti, mentre la rivale, Marine Le Pen, ha riportato il 41,45%. La ventilata affermazione della candidata populista non è avvenuta, anche se sul presidente uscente si sono diretti molti voti motivati dall'ostilità alla Le Pen, più che dal consenso a lui.
Tuttavia, l'elezione di Macron ha fermato l'avanzata della destra populista che sembrava in decisa ascesa. È un forte segnale all'Europa occidentale. Una politica gridata e aggressiva, tanto puntata sul tema dell'"invasione" degli immigrati, non paga più. L'ha compreso la stessa Le Pen, la quale ha assunto un tono moderato e rassicurante, quasi volendo apparire una "madre" dei francesi rispetto al giovane presidente tecnocrate, certo più preparato e rassicurante di lei, ma che sembra più estraneo alla Francia profonda. Macron ha vinto, eppure il 41% della Le Pen disegna un consenso ragguardevole, che esprime un grande malessere, quello della Francia provinciale e marginale.
Il populismo non si batte solo alle elezioni, ma lavorando nella società. Senza lavoro sulla società, si ripresenterà ugualmente forte alle elezioni successive. Infatti, la base sociale e antropologica del populismo è il mondo di tanti "io" soli e spaesati nelle periferie sociali e urbane. Gli "io" si coalizzano emotivamente, spesso per paura, contro qualcosa e si fanno rappresentare da un leader che li rassicura e li interpreta. La grande risposta allo spaesamento dell'"io" è popolare i mondi periferici (e non solo) con tanti "noi". C`è qui il problema della decomunitarizzazione della vita personale e sociale, con la crisi della famiglia e dei corpi intermedi.
Avrà la politica la capacità di farsi carico di questi problemi e di diventare movimento nella società? Oppure resterà nel palazzo, in televisione o sui social? Lo stesso potrebbe dirsi della Chiesa: avrà la capacità di ravvivare i tanti "noi" sul territorio, comunicando il Vangelo nella storia e nel quotidiano, piuttosto che restare dentro le sue istituzioni?
Anche in Italia, un popolo uscito dalla pandemia porta le tracce di un'esperienza dura di due anni di chiusura. Nella storia, le pandemie sono seguite spesso da una regressione sociale, psicologica e culturale, ha osservato la scienziata Ilaria Capua.
Oggi la gente ha altre paure rispetto all'idea dell'aggressione dello straniero, da cui essere difesa. I problemi sono nella vita quotidiana e sull'orizzonte del futuro, su cui si disegna minacciosamente la guerra. La politica del Governo Draghi, nel complesso, ha avuto un effetto rassicurante rispetto alle paure della gente. Ha aperto prospettive di speranza rispetto al domani, anche se oggi la guerra rende tutto più problematico.
Il buon governo è la rassicurazione che molti chiedono. Qualcosa che interroga i movimenti che hanno condotto finora una politica dai toni forti. Naturalmente non si può, a partire dalle elezioni francesi, individuare con sicurezza una tendenza europea.
Ma i sentimenti dei cittadini verso la politica si discostano da quelli di ieri. Bisogna intercettarli, anche per evitare che si risolvano nell'insoddisfazione e nell'astensione.
Accanto al buon governo, la risposta sta pure in una politica che sappia farsi prossima alla gente, costruire il "noi" sul terreno emotivo di tanti "io". La politica e i politici devono mischiarsi con la gente, ascoltarne le esigenze e costruire reti che uniscano la società al palazzo.
Editoriale di Andrea Riccardi su Famiglia Cristiana dell'8/5/2022
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