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Se la via della pace passa da San Pietro

Papa Francesco accende il candelabro della pace all'incontro interreligioso su "Pace e fraternità" di Roma il 20 Ottobre 2020 - Foto Sant'Egidio


La mediazione della diplomazia vaticana in passato ha avuto successo, come nell'84, tra Cile e Argentina

I1 direttore del primo dipartimento europeo degli Affari esteri di Mosca, Alexey Paramonov, ha dichiarato la sua attenzione per le «iniziative della Santa Sede e di papa Francesco» sull'Ucraina. In questa situazione senza sbocchi, tutti siamo attenti anche ai minimi segnali. Già all'inizio del conflitto, gli ucraini avevano chiesto un impegno della Santa Sede in questo senso, cui Mosca non sembrava disponibile. Che si apra una via di pace? È veramente presto per dirlo, mentre la guerra infuria e l'offensiva russa si fa più aggressiva. 

La posizione di Francesco non è identificata con nessuna delle due parti in guerra. Ma non è stata nemmeno una fredda imparzialità. Infatti il Papa ha espresso ammirazione per il coraggio degli ucraini nella resistenza, parlando di "popolo eroico", così come ha mostrato intensa partecipazione per le sue sofferenze. Ha, però, anche colto il sentimento di Mosca, tipico della sua concezione della sicurezza: sentirsi circondata dalla Nato. 

Ha infatti parlato di «abbaiare della Nato alla porta della Russia». Questa espressione non è piaciuta agli ucraini, ai polacchi, ai baltici e vari altri in Occidente. Marco Revelli ha commentato: il Papa «ha parlato la lingua della Terra, non quella di qualche Stato, o popolo separato e contrapposto ad altri». 

Francesco, con molta efficacia, ha rappresentato la posizione della Santa Sede che considera da sempre la guerra un'«inutile strage», come disse Benedetto XV durante la Prima guerra mondiale, o «un'avventura senza ritorno» (Giovanni Paolo II). Non si tratta solo di posizioni morali, ma anche della disponibilità ad aiutare con l'impegno umanitario e l'azione diplomatica. A proposito di quest'ultima, la Santa Sede ha una storia lunga che, in età contemporanea, comincia con Leone XIII, dalla mediazione tra Spagna e Germania per le Isole Caroline nel 1885. 

Questo tipo di azione, varie volte, è stata ripresa dalla Santa Sede, per ultimo da Giovanni Paolo II nello scontro tra Cile e Argentina sul canale di Beagle, nel 1984. Pio XII tentò, all`inizio della Seconda guerra mondiale, un intervento per evitare il conflitto, che falli. In genere gli interventi vaticani sono stati mediazioni su contese territoriali; nel caso ucraino sarebbe una situazione di forte complessità politica e grande conflittualità. 

Più che chiedersi se la Santa Sede sia disponibile alla mediazione (si tratterebbe poi della diplomazia vaticana più che del Papa in persona), è necessario vedere se c'è qualche possibilità di intesa tra Russia e Ucraina per mettere fine alla guerra. I precedenti tavoli negoziali sono falliti sotto la pressione dei combattimenti. Che si parli di mediazione vaticana è di per sé una buona notizia: vuole dire che si sta cercando una via d'uscita. E ce n'è bisogno, perché la guerra continua e rischia di riproporre una situazione simile a quella della Siria, con un conflitto che ha distrutto un intero Paese. 

È significativo che si pensi a un impegno del Papa. Questi, nell'enciclica Fratelli tutti, ha riproposto un'analisi realista e drammatica su cui meditare: «Ogni guerra lascia il mondo peggiore di come lo ha trovato. La guerra è un fallimento della politica e dell'umanità, una resa vergognosa, una sconfitta di fronte alle forze del male». Se così è, bisogna far presto per resuscitare i sentimenti di umanità, attivare l'azione politica, fermare il declino verso un mondo peggiore.


Editoriale di Andrea Riccardi su Famiglia Cristiana del 26/6/2022





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