Un momento delle proteste di fine Agosto a Baghdad a ridosso della green zone |
Il Paese, multietnico e multireligioso, oggi vive una profonda crisi, tutta interna al mondo sciita
Che cosa succede in Iraq? La visita di papa Francesco, pochi mesi fa, aveva gettato un fascio di luce e di speranza sulla situazione del Paese. Oggi è investito da una grande crisi. Ma la situazione dell'Iraq è molto complessa. Per seguirla è necessario provare a capire quel che succede. Questa infatti è la grande sfida che tanti contesti del mondo lanciano alla nostra intelligenza e alla nostra passione per la pace: la complessità.
L'Iraq, multietnico e multireligioso, è davvero complesso. Lo mostrano le vicende degli ultimi giorni. I seguaci del leader sciita Moqtada al-Sadr si sono ritirati dalla green zone, il quartiere governativo a Baghdad, occupato da loro in queste settimane. L'area era diventata teatro di scontri armati che hanno provocato decine di morti. L'attuale crisi è tutta interna al mondo sciita. Gli sciiti sono circa il 65% dei 44 milioni di iracheni.
Assieme all'Iran, l'Iraq rappresenta uno dei pochi Stati dove gli sciiti sono maggioritari rispetto ai sunniti (l'80% della umma islamica). Vi sono partiti e milizie filo-Iran, tra cui l'ex premier al-Maliki, e invece leader nazionalisti, come Moqtada al-Sadr, favorevole all'indipendenza di Baghdad da Teheran.
La divisione si riverbera sul terreno religioso, dove il grande ayatollah al-Sistani (visitato da papa Francesco durante il suo viaggio in Iraq) è un noto sostenitore della separazione tra religione e politica e dell'identità nazionale irachena. Sia i sadristi che i filoiraniani si oppongono alla permanenza delle truppe statunitensi nel Paese. Sono però divisi sul ruolo dell'Iran. I sadristi, da nazionalisti, mettono l'accento su arabismo e autorità dello Stato. Gli altri accettano la supremazia di Teheran, che presiede il cosiddetto arco sciita, con l'Iran, l'Iraq, la Siria (gestita dalla minoranza alawita) e gli Hezbollah sciiti libanesi. Dopo essere risultato il primo partito alle elezioni del 2021, la formazione di Moqtada al-Sadr ha tentato di formare una coalizione con il Pdk di Massoud Barzani, che controlla la regione autonoma del Kurdistan iracheno, e con il partito di Al-Halbousi, il più forte leader sunnita con legami in Turchia e nel Golfo.
Tuttavia, la Costituzione obbliga a creare "supermaggioranze" per governare (un metodo scelto per includere sempre sciiti, sunniti e curdi). Così gli oppositori sciiti hanno bloccato Moqtada. Dopo mesi senza Governo, questi ha fatto dimettere i suoi dal Parlamento per creare uno choc a suo favore. Ma il sistema iracheno è andato avanti senza di lui con un altro primo ministro. La situazione si è fatta tesa quando i sadristi hanno occupato la sede dell'assemblea nella green zone di Baghdad, trasformando il duello politico in scontro di piazza e poi in guerriglia urbana.
Il timore di una guerra civile esiste. Pur nemiche, Teheran e Washington non vogliono che il Paese ripiombi nel caos in cui si è spesso trovato in questi decenni, favorendo l'emersione di soggetti armati, come fu con l'Isis.
Resta il fatto che l'Iraq è un Paese molto diviso: non esiste nessun leader che abbia la guida di tutti gli sciiti iracheni, nemmeno la parte filoiraniana che oggi sfida Moqtada. Il timore è che la situazione sfugga di mano ai responsabili innescando nuove violenze in un'area geopolitica già squassata da lunghi conflitti. Provando a seguire e comprendere una situazione così complessa, teniamo desta l'attenzione, anche con il nostro sforzo politico e intellettuale, perché non si accenda un'altra guerra.
Editoriale di Andrea Riccardi su Famiglia Cristiana dell'11/9/2022
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