La mediazione che portammo avanti insegna come la pace sia sempre possibile anche tra acerrimi nemici
Trent'anni fa, il 4 ottobre 1992, a Roma, a Sant'Egidio, si arrivò alla pace per il Mozambico. Indipendente dal Portogallo nel 1975, la guerra aveva sconvolto questo Paese africano. Si trattava di una guerra civile tra la Renamo, il movimento guerrigliero di opposizione, e il Governo della Frelimo (partito unico di orientamento marxista, vicino al blocco sovietico). Il conflitto devastò il Paese: 3-4 milioni di sfollati interni e profughi nei Paesi confinanti e, soprattutto, un milione di morti.
Una tragedia che aveva distrutto completamente il Paese che diveniva il più povero del mondo. Il Governo controllava solo le capitali provinciali e alcune piccole città, ma gran parte del territorio era insicura sotto la minaccia della guerriglia e della violenza dei militari. Entrambe le parti avevano commesso orribili violenze. Parte della popolazione, affamata, si intasava nella periferia delle città, mentre altri si nascondevano terrorizzati nella foresta. Perché i mozambicani sono arrivati a negoziare la pace a Roma, quando l'Italia non aveva nessuna storia con questo Paese?
La vicenda merita di essere ricordata, perché è una storia di fine Novecento che mostra come la pace sia possibile anche tra acerrimi nemici che si sono odiati e combattuti in modo violento. Dopo anni di guerra e distruzioni, le due parti in lotta si trovavano in una posizione di stallo. C'era un abisso di odio tra il Governo (considerato dalla guerriglia una dittatura assolutista) e la Renamo, che i governativi chiamavano "banditi armati". La Comunità di Sant'Egidio faceva cooperazione con il Paese: c'era stata nel 1984 una grande carestia. Ma era quasi impossibile aiutare una terra divorata dalla guerra, "madre di tutte le povertà".
L'idea di negoziare la pace maturò nella Comunità e, in particolare, tra don Matteo Zuppi, il futuro cardinale presidente della Cei, molto legato al Mozambico, e me. Si incontrò con l'iniziativa di un coraggioso vescovo mozambicano, monsignor Jaime Gonçalves, che contattò la Renamo. La Chiesa aveva prestigio presso il movimento perché perseguitata dal Governo marxista. Il Governo aveva buoni rapporti con l`Italia che, intelligentemente, cooperava con il Mozambico, sollecitata anche dai missionari italiani (che avevano un coraggioso impegno nel Paese) e dal Partito comunista italiano, vicino alla Frelimo e molto attivo in Mozambico.
La scelta di negoziare, da parte delle due parti, non fu facile ma, alla fine, nel 1990, entrambe accettarono. Il Governo italiano delegò un suo rappresentante, Mario Raffaelli, mediatore con Zuppi, me e Gonçalves. Gli incontri avvennero alla Sant'Egidio e durarono più di due anni.
Il negoziato impose, lentamente ma decisamente, un cambiamento di mentalità a entrambe le parti: alla guerriglia, che accettò di passare dalla lotta armata alla lotta politica; ma anche al Governo che rinunciò al regime del partito unico e dialogò con i propri nemici.
L'allora segretario dell'Onu, Boutros-Ghali, ha parlato di successo della "formula italiana". La Comunità, ha scritto, «è stata particolarmente efficace nel coinvolgere altri perché contribuissero a una soluzione». Infatti si aggiunsero ai negoziati gli osservatori statunitense, portoghese, francese, britannico e delle Nazioni Unite.
E la pace fu efficace: dopo la firma a Roma è nato un sistema pluripartitico, pur con le sue fragilità, mentre non sono avvenute vendette dopo una guerra così sanguinosa. La memoria dell'accordo ricorda il valore della pace ai mozambicani (funestati oggi da una guerriglia jihadista nel Nord del Paese). Richiama noi tutti, in un periodo così scuro, al fatto che la guerra è una sconfitta dell'umanità e che la pace, in ogni situazione, è sempre possibile. Non sono parole retoriche, ma sono frutto di una sapienza storica e di un vissuto recente.
Editoriale di Andrea Riccardi su Famiglia Cristiana del 16/10/2022
Commenti
Posta un commento