Il popolo di Dio, accorso numeroso al funerale, ha colto la forza del suo messaggio di carità. Che interroga anche la Chiesa
Dopo la pandemia, la liturgia domenicale raduna meno gente. Eppure ci sono momenti in cui la gente si raccoglie: abbiamo già parlato delle celebrazioni per Benedetto XVI che, da dieci anni, era scomparso dall'attenzione pubblica. Un momento importante è stata la manifestazione per la pace in Ucraina a Roma, in piazza San Giovanni, con 200mila persone: gente comune, cattolici, mondo pacifista...
Di altro genere è l'accorrere di tante persone a Palermo per vedere le spoglie di Biagio Conte e per partecipare ai funerali in cattedrale. Famiglia Cristiana lo ha chiamato: "Il cantore laico dell`amore di Dio per gli ultimi della terra".
Perché tanta gente è attratta da questo uomo semplice, amico dei poveri? Allora non è vero che c'è una crisi religiosa, espressa dall'indifferenza nei confronti della Chiesa e del suo messaggio. Ho definito questa crisi (che è europea), partendo dall`incendio di Notre Dame a Parigi: "La Chiesa brucia". Sì, istituzioni, uomini di Chiesa sono un po' bruciati. Per colpa di nessuno, ma tante parole risuonano nel disinteresse. Varie iniziative non toccano i cuori dei più. Eppure la gente si è mossa per Biagio Conte.
La sua vita di santità intrecciata di carità è un messaggio che tocca. È anche una contestazione silenziosa dei linguaggi ufficiali e correnti nella Chiesa. Non perché Biagio lo volesse, ma di fatto è così.
Il fiuto del popolo di Dio intuisce il Vangelo vissuto. Bisogna riflettere su questo e provare a trarne le conseguenze, per liberarsi non solo da quella che papa Francesco chiama "mondanità spirituale", ma anche dalla banalità spirituale, dal frasario e dai riti ecclesiali che ne portano l'impronta. Ricordo l'atteggiamento di Biagio durante la pandemia, quando le chiese annullarono ogni liturgia e tutto divenne virtuale, con un'innovazione forte rispetto alla pastorale della Chiesa in altre epidemie: fratel Biagio girava per le strade di Palermo con la croce, salutava e incoraggiava, invitava tutti a pregare.
Fratel Biagio, nel vestire e nel procedere in mezzo alla gente, aveva qualcosa di alternativo. Un uomo diverso fin dall'abito e dalla scelta di andare quasi sempre a piedi. Ma il suo messaggio non era astruso.
Parlava alla vita di oggi e ne toccava in problemi, con un misto di alterità profetica e prossimità affettuosa. Molti suoi temi sono attuali: «Basta Italia non costruire più armi, ma strumenti di lavoro». Contro la chiusura ai migranti e i respingimenti, dichiarava, avendo fatto un lungo digiuno di protesta: «Abbiamo tutti il dovere di non alzare barriere né muri».
Il povero era al centro della sua vita come persona concreta: era la sua proposta a tutti. Non istituzioni assistenziali, ma accoglienza e rapporto personale con i poveri. Preghiera e poveri, in cui vedeva Gesù: la sintesi di un'esistenza pellegrina in Sicilia, in Italia e in Europa.
L'incensazione della autorità, specie quelle civili siciliane, non può far rientrare l'alterità profetica di questa vita che interroga tutti e pone questioni alla Chiesa. Il silenzio esprime meglio lo stupore di fronte a un'esistenza piccola, rivelatrice di un'altra dimensione, forse invisibile. Questo borghese palermitano, fattosi povero (qualcosa della sua cultura restava in lui), ha rivelato che siamo un mondo di mendicanti: i poveri come i ricchi, i disperati come gli astuti, i credenti e i non credenti. Dopo la morte di Lutero, trovarono un foglio non lontano dal letto: «Siamo tutti mendicanti: questo è vero», era scritto. La vita di fratel Biagio è il foglio su cui è scritto questo messaggio che inquieta e inquieterà in futuro.
Editoriale di Andrea Riccardi su Famiglia Cristiana del 29/1/2023
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