Il memoriale delle vittime del massacro di Bucha - Foto Sant'Egidio |
Come ha detto Francesco, è molto importante avviare contatti, aprendo «rapporti, canali di amicizia»
La guerra in Ucraina è tanto vicina. Me ne sono reso conto ancora di più durante un recente viaggio. Ho visitato Leopoli, dove al milione di abitanti si sono aggiunti 200 mila rifugiati. Sono andato nella capitale Kyiv che, qualche giorno fa, è stata colpita da un missile russo. Vicino c'è Irpin, dove i russi hanno compiuto gravi distruzioni, quando sono giunti alle porte della capitale. Irpin è stata liberata il 22 marzo 2022 e il Governo ha proceduto a una rapida ricostruzione, ma le ferite restano. E lì vicino c'è anche Bucha, dove russi e ceceni hanno massacrato più di 450 ucraini, tra cui bambini e parecchie persone con segni di tortura.
Lì, assieme ad amici ucraini, ho sentito il dolore della guerra e di queste incredibili violenze. Il dolore si legge sul volto di tanti, specie donne. Hanno lasciato la casa, spesso distrutta, per scappare dalla guerra. Una rifugiata a Leopoli mi ha detto: «Ho preso un bus per fuggire, ma non sapevo nemmeno dove andava». C'è poi la logorante angoscia segreta dei genitori e delle mogli per i ragazzi in guerra. Nella chiesa militare di Leopoli, una lunga parete è coperta da foto dei caduti: c'è chi prega, c'è chi tocca le immagini...
La società resiste. Ma la sofferenza è visibile, anche se Kyiv è una capitale vivace. Non manca la movida dei giovani, anche se questi soffrono molto, certamente come soldati protagonisti della guerra e prime vittime. Ma poi molti giovani sono spaesati, trasferiti bruscamente oppure inquieti perché i sogni sul loro futuro si sono infranti. Oggi, però, dopo l'attacco russo, gli ucraini sono compatti, anche quelli russofoni o che erano filorussi. L'aggressione è stato un atto troppo violento e ingiusto.
La terra ucraina e i suoi abitanti pagano un prezzo enorme di sangue e di distruzioni. Le notti di molti sono turbate dagli allarmi aerei, che invitano a scendere in rifugi spesso improvvisati. Talvolta gli attacchi sono sanguinosi: a Uman, dove è conservata la tomba di un grande maestro dell`ebraismo mistico dei hassidim, Nachman di Breslov, il 28 aprile scorso un missile ha colpito di notte un'abitazione civile, provocando oltre 20 morti.
Ho visitato i centri di solidarietà della Comunità di Sant'Egidio, su cui sono convogliati molti aiuti provenienti specie dall'Italia, da singoli, diocesi, istituzioni. Gli ucraini della Comunità distribuiscono gli aiuti e ricevono le persone. Ucraini sostengono altri ucraini. Il sostegno materiale porta all'incontro con persone spaesate e sofferenti, che hanno bisogno di condividere la loro situazione e i loro problemi. Mi colpisce che non pochi, dopo aver domandato qualche volta gli aiuti, chiedano di poter aiutare a loro volta. Questo avviene anche da parte dei giovani.
La solidarietà dà senso a esistenze sradicate ed è un modo di lottare. Si vive qui quello che Sant'Egidio sente in tante parti del mondo: «Nessuno è mai tanto povero da non poter aiutare un altro povero». Aiutare diventa un'esperienza che dà senso alla vita, rianima la fede e libera dal pessimismo vittimista.
In genere ho notato però come l'aiuto umanitario non sia sufficiente e sia necessario un nuovo impegno europeo in questo senso. Soprattutto incombe la domanda su quanto durerà la guerra. Gli ucraini pensano fino alla riconquista delle loro terre, ma sarà mai possibile di fronte alla forza della Russia? Papa Francesco, di ritorno dall'Ungheria, ha parlato di una missione vaticana a Kyiv e Mosca per la pace.
Credo sia molto importante perché bisogna avviare segni di pace e aprire contatti. Abbiamo bisogno di investire di più sulla diplomazia. Giustamente il Papa ha detto, rispondendo alla domanda di una giornalista: «Credo che la pace si faccia sempre aprendo canali, mai si può fare una pace con la chiusura. Invito tutti ad aprire rapporti, canali di amicizia».
Editoriale di Andrea Riccardi su Famiglia Cristiana del 14/5/2023
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