L'attribuzione del Premio internazionale Paolo VI al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha visto insieme in Vaticano, oltre al premiato e ai familiari, papa Francesco, nonché i rappresentanti dell'Istituto Paolo VI e tanti bresciani, a Roma per l'occasione. Normalmente il premio, nelle precedenti edizioni, era stato sempre consegnato dai papi ai vincitori. Non da Bergoglio, perché la concessione del premio era stata sospesa da qualche anno. Si è voluto così ricominciare proprio con la figura di un politico che, per tanti versi, si riconosce nell'eredità di Montini, convinto assertore dell'impegno dei cattolici in politica, ma anche formatore dei giovani che, dopo la Seconda guerra mondiale, costituirono la classe dirigente democristiana. Infatti la motivazione del Premio insiste sul fatto che Paolo VI, pur avendo responsabilità universali come papa, «è stato un grande italiano, convinto che cattolicesimo e democrazia rappresentino un binomio imprescindibile per il Paese».
Il premio è stata anche l'occasione per sottolineare il valore della tradizione politica e spirituale del cattolicesimo democratico, cui, con storie differenti, si iscrivono Montini e Mattarella. Il futuro Paolo VI «negli anni del fascismo educò le giovani generazioni cattoliche ai valori democratici».
Papa Francesco, ricordando nel suo discorso Manzoni, ha evocato un «maestro di vita», impregnato di fede cristiana, ma anche attento al valore della libertà. Il filone culturale e spirituale che coniuga fede, libertà e democrazia, ispira una vita come servizio. Il Papa ha citato Manzoni in un tempo in cui è facile essere autocentrati e vittimisti: «Si dovrebbe pensare più a far bene, che a stare bene: e così si finirebbe anche a star meglio». Mattarella è, per Francesco, «un coerente maestro di tutto questo».
Il Papa ha ricordato suo fratello Piersanti e le vittime di Capaci a proposito dell'impegno per la legalità. L'omaggio del Papa e dell'Istituto Paolo VI a Mattarella è quanto mai opportuno, quando larga parte dell'opinione pubblica guarda al Presidente come figura super partes, capace di farsi carico del bene comune, ma anche di parlare e insegnare con libertà e apertura al futuro, fuori da logiche conflittuali. Il Presidente non è assolutamente una personalità estemporanea, ma un uomo molto libero, pur in una carica così istituzionale.
Al termine di una cerimonia intensa e con l'assegnazione del premio, quanto mai meritato, viene da chiedersi se il riconoscimento di una tradizione, che va da Montini e Mattarella, sia qualcosa di rivolto al passato o possa generare futuro. Negli anni Trenta e nel buio della guerra mondiale, Montini sognò alla grande il futuro del Paese, investendo sulla formazione di cammini di fede e di cultura per i giovani. A questa formazione, come quella della Fuci, non mancava il contatto con i più poveri.
Questa storia si è esaurita? La Chiesa non è più capace di formare giovani generazioni o, forse, tanti, specie giovani, non domandano questo. Non saprei rispondere. Ma la domanda brucia.
Una fede che non sia pensata, che non si faccia cultura, resta, diceva Giovanni Paolo Il, qualcosa di vissuto a metà. Ma la fede accende un desiderio di visione per l'Italia, quella visione che tanto manca, che non è solo gestione del potere. Vedere in Mattarella un maestro fa riflettere sulla responsabilità dei cristiani. Una storia e un mondo che hanno generato uomini e donne responsabili, si sono forse insteriliti? O generano in modo sotterraneo, meno visibile a sguardi superficiali?
Editoriale di Andrea Riccardi su Famiglia Cristiana dell'11/6/2023
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