Tanti Paesi sono sconvolti dalla guerra come ai tempi di Gesù. Ma con Lui rinasce la speranza
Il Natale parla al cuore. Conserva, nonostante le consolidate derive consumistiche, un vero radicamento nel Vangelo.
In un mondo, dove dominano i signori della guerra come Erode, può nascere la pace, tanto che il bambino di Betlemme è chiamato "principe della pace". La pace non è morta per sempre nei campi di battaglia, sotto i bombardamenti, negli atti terroristici.
Con l'annuncio del Vangelo di Natale rinasce la speranza di pace: sì, la pace è sempre possibile! Rinasce la pace, che ha il nome di Gesù. É il messaggio che la Chiesa annuncia ogni anno per il Natale. Sono pura consolazione la pace e la gioia di Natale che si creano nelle comunità e nelle famiglie?
Innanzitutto, la pace di Natale è una gioia condivisa: crea un "noi" che si raduna e non si risolve in un "io" che consuma. E poi, è un inizio di pace nel cuore di alcuni, in una comunità che ascolta il Vangelo, in una famiglia: così comincia la speranza che la pace si allarghi al mondo. Serafino di Sarov, grande santo russo, insegnava: «Acquista lo spirito di pace e migliaia attorno a te troveranno la salvezza». Non è indifferente vivere con fede il Natale, perché libera energie di pace. Un Natale vissuto con il cuore è una profezia di speranza e di pace per i popoli in guerra. Guerre senza fine: questa sembra la realtà. Come in Ucraina, immersa in un conflitto da quasi due anni e provata anche dal freddo inverno. Non si vede una soluzione per il conflitto, scatenato dall'attacco terroristico di Hamas, che ha portato alla risposta d'Israele. Non è facile credere che Israele e palestinesi possano vivere a fianco. Eppure la geografia imporrebbe la necessità di una soluzione, come quella dei due Stati. Ma oggi sembra lontana e - per non pochi - irrealizzabile. Si deve allora continuare a morire e a vivere nell'insicurezza?
C'è poca speranza per un paese sconvolto, come il Sudan, in preda alla lotta tra militari governativi e paramilitari: 12.000 morti e sei milioni di profughi sono il bilancio di questa battaglia senza quartiere. Così crudele che, pochi giorni fa, un convoglio della Croce Rossa Internazionale, con ben visibili i segni dell'organizzazione, è stato attaccato mentre si preparava a evacuare un centinaio di persone. Due persone sono state uccise e altre ferite. Come parlare di pace in tanta barbarie? Scoraggiarsi e rassegnarsi sembra logico. Ma chi è travolto dalla guerra non rinuncia a sperare e a chiedere la pace.
Sono voci inascoltate. Invece bisogna prestare attenzione. Del resto milioni di donne e uomini credono alla necessità della pace. Per i cristiani, la pace è la via del futuro. Non possiamo, a Natale, non radicare ancor di più questa convinzione nella fede.
La pace non è un'utopia: cercarla oggi è più ragionevole di ogni guerra. Né possiamo fermarci davanti alle difficoltà di indicare subito una strada concreta per le situazioni di conflitto. La pace è più grande dei progetti, perché è la sorgente vera dei percorsi per la fine della guerra. Natale è la chiamata a tornare tutti alla sorgente della pace, senza mai rinunciare a cercarla e sperarla. Accanto al Figlio di Dio che è nato, si comprende meglio una beatitudine evangelica così decisiva: «Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio» (Matteo 5, 9).
Editoriale di Andrea Riccardi su Famiglia Cristiana del 24/12/2023
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