L'assegnazione all'Arabia pone il problema del ruolo del nostro Paese nel mondo: non siamo un museo
L'Esposizione Universale non sarà a Roma, ma a Riyad. La vittoria saudita era prevista, anche per la quantità di mezzi finanziari utilizzati. Ma non basta questa spiegazione. I dati: Riyad 119 voti, Busan (Corea) 29, Roma 17. L'Italia ha fatto una buona campagna con un buon progetto. Cosa è successo? Roma è così in basso rispetto a Riyad, capitale di un Paese che, pur nel rinnovamento, non conduce una politica di rispetto dei diritti umani?
Roma ha una continuità storica di quasi tremila anni: dall'antica Urbe all'Impero, alla Roma dei papi e del cattolicesimo, alla capitale italiana. Credevamo che Roma valesse un po' più di 17 voti. Oggi Roma attrae tanti turisti. Che cosa è successo?
La domanda ci inquieta. L'Europa occidentale non ha lo spazio, la forza e l'appeal del Novecento. Del resto, l'Italia non si distingue per una politica particolare. Durante la Prima repubblica, fedelissima della Nato, conduceva un'azione creativa verso l'Est, gli arabi, l'Africa, facendo talvolta la differenza. Oggi non più. Ha ragione Corrado Augias: «lo schiaffo resta bruciante» e interroga noi tutti. Non si tratta tanto di cercare i colpevoli della sconfitta, bisogna porsi il problema dell'Italia nell'orizzonte di un mondo cambiato.
L'Arabia Saudita può impegnare ingenti risorse nelle sue campagne e fa una politica ragionata e mondiale: è una media potenza, rilevante in tante situazioni, come in Medio Oriente. Conta sulla solidarietà di India, Cina, Sud Africa, Russia (quattro Brics su cinque, perché il Brasile, che avrebbe votato Italia, non era in regola con i pagamenti delle quote). Il governo di Riyad, a gennaio, sarà accolto dai Brics con Argentina, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Etiopia e Iran. Altri Paesi, come la Nigeria, l'Indonesia e il Vietnam hanno chiesto di entrare. I Brics hanno organizzato una Nuova Banca di sviluppo, che insidia il ruolo del Fondo Monetario Internazionale e del dollaro. Non è la riedizione dei Paesi non allineati, in genere ex colonie, che rivendicavano una posizione terza nella guerra fredda.
Oggi si tratta di Stati, spesso con disponibilità economiche, talvolta forti militarmente, decisi a giocare un ruolo attivo. Se il Novecento è stato il secolo occidentale e dell'occidentalizzazione del mondo, oggi si impone un mondo non occidentale e talvolta antioccidentale.
Che ruolo ha l'Italia in questo contesto? E Roma? Anche se l'Italia non ha mai avuto un'idea esagerata di sé, bisogna capire che non siamo più quello che eravamo. Da parte sua, Roma rischia di essere un bel contenitore per turisti, ma non più attrattiva come fu per la cultura, il cinema e tant'altro. Cinquant'anni fa, nel 1974, la Chiesa di Roma dette un grande allarme sulla città, ascoltata da tutti; oggi appare piuttosto introversa e con poche parole sulla città.
Il risultato dell'Expo riguarda tutti: politici, italiani, romani... I dibattiti sul futuro dell'Italia e dell'Urbe devono tener conto del nuovo scenario del mondo. Non siamo solo un grande museo, ma vogliamo essere un Paese vivo. Anche perché l'Italia ha un contributo da dare al mondo, di fronte a tanti Paesi in cui l'uomo e la donna, con i loro diritti, non sono al centro della società e della politica o peggio. Ci vogliono nuove idee e visioni, anche perché la politica e la costruzione del futuro non si possono fare - come avviene da troppi anni - senza cultura. Almeno per noi italiani.
Editoriale di Andrea Riccardi su Famiglia Cristiana del 10/12/2023
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