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Fame e violenza in Sudan, una crisi umanitaria senza immagini

Persone in fuga dal conflitto in Sudan - Novembre 2023 - Foto UNHCR/Ala Kheir

Da oltre un anno una sanguinosa guerra civile devasta lo Stato africano. E il mondo resta a guardare

Parzialmente ignorata dai media globali, la tragedia del Sudan, una gravissima crisi umanitaria, senza immagini, va avanti senza che nessuno riesca ad arrestarla. La guerra iniziata nell`aprile del 2023 ha provocato 9 milioni di sfollati interni su una popolazione di 47 milioni di abitanti e circa 2 milioni di rifugiati all'estero. Ma ciò che la rende devastante è la fame. 

Secondo il programma alimentare mondiale (Pam) in Sudan attualmente oltre 25 milioni di persone soffrono di insicurezza alimentare, dei quali oltre 8 milioni si trovano a un livello di grave emergenza e quasi un milione in una condizione descritta come "catastrofica" (cioè una situazione nella quale muoiono ogni giorno 2 adulti o 4 bambini su 10 mila persone). Gli ultimi rapporti indicano che quasi 4,5 milioni di bambini sudanesi in età inferiore ai 5 anni soffrono di malnutrizione acuta o sono gravemente denutriti. Inoltre, da un anno la capitale Khartoum è zona di guerra ed è stata evacuata da almeno la metà della sua popolazione originaria. 

Il governo ufficiale delle Forze armate sudanesi si è rifugiato a Port Sudan dove il porto è quasi del tutto fermo. La guerra ha bloccato ogni attività, non c'è più energia, l'unico oleodotto del Paese è stato sabotato, le centrali elettriche sono tutte fuori uso. Il commercio è anch'esso sospeso e la gente non sa come sfamarsi. 

Le scuole e le università chiuse da più di un anno, oggi il Sudan è un paese spezzato, con una popolazione in fuga. I ribelli delle Rapid Support Forces (Rsf), strumento dell'esercito durante la precedente guerra del Darfur, non hanno accettato di rientrare nei ranghi. Da qui uno scontro all'ultimo sangue con i vecchi alleati militari. 

Il Sudan era stato al centro dell'attenzione internazionale per la rivolta pacifica della sua società civile che nel 2019 era riuscita a far cadere a mani nude il regime islamo-militare di Omar al Bechir. Si era trattato di un esempio per tutta l'Africa e per il mondo arabo: giovani e donne assieme per le strade a chiedere e ottenere democrazia e diritti. Ne era nata una transizione con un primo ministro civile proveniente dalle istituzioni internazionali, Abdallah Hamdock, che stava negoziando un progressivo cambio di regime con i militari. 

In Sudan l'esercito rappresenta un pezzo importante dell'economia e della società. Inoltre è un paese mosaico con storiche differenze etniche. La duplice sfida del convivere e della ricerca di una via democratica è stata affrontata con coraggio, finché è divampata la crisi tra Rsf e Forze armate. 

La guerra assume ora l'orrendo aspetto dell'odio etnico ma ha un'origine economica: le Rsf non hanno voluto cedere il controllo sul redditizio commercio dell'oro con cui si sono arricchite in questi anni, mentre l'esercito rimaneva legato ai vecchi traffici da esportazione come la gomma arabica, il bestiame o il grano. Per questo la chiamano anche "marketing war", la guerra delle reti commerciali con il coinvolgimento di molteplici e interessati attori esterni. 

Usa e Arabia Saudita hanno più volte tentato di far dialogare le parti in lotta, ma nessuna accetta davvero di far transitare gli aiuti umanitari nel Paese. È necessario un soprassalto di coscienza, una rivolta morale della comunità internazionale per fermare una catastrofe che sta travolgendo un popolo intero.


Editoriale di Andrea Riccardi su Famiglia Cristiana del 21/7/2024

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