Non è più la terra della convivenza religiosa e la massiccia presenza di campi profughi crea tensioni
Nello scontro tra Israele e Iran (con i suoi alleati sciiti e palestinesi), il Libano rischia di andare in frantumi. E il Libano - disse Giovanni Paolo II - è un messaggio: che si può vivere insieme tra cristiani e musulmani, tra gruppi differenti.
Il Libano sembrava un modello di convivenza. La sua crisi politica, oggi, è tale che non si riesce a eleggere un presidente. La carica, secondo gli accordi fondativi del Paese, dev'essere occupata da un cristiano maronita (i maroniti erano il gruppo più folto). I cristiani insieme non sono più la maggioranza, ma si mantiene questa "finzione" per evitare di aprire altre crisi. Dalla fine della guerra mondiale, specie negli anni Sessanta, il Libano, indipendente dal 1943, era la "Svizzera del Medio Oriente", centrale finanziaria e approdo turistico, uno spazio di libertà nel Medio Oriente arabo. Fin da allora, si vedeva la sua fragilità politica con le sue 18 confessioni religiose. Ci sono 12 campi di rifugiati palestinesi, in condizioni di povertà, non ancora integrati nonostante da decenni nel Paese: oggi sono 300 mila. A questi si aggiungono, dopo 13 anni di guerra civile in Siria, un milione e mezzo di rifugiati siriani, sempre meno tollerati dai libanesi che sono poco più di 4.500.000. L'attuale crisi politico-umanitaria pone questi rifugiati in una situazione sempre più precaria, ostaggio di un conflitto che si svolge sulle loro teste. Una parte consistente delle crisi regionali si scarica sul fragile Libano, che ha conosciuto l'invasione israeliana volta a colpire le organizzazioni palestinesi, e poi l'occupazione siriana. Dal 1975 al 1990 si è combattuta la guerra civile libanese, che ha visto come protagonisti le Falangi maronite e altri gruppi cristiani contro i palestinesi, gli sciiti e altri gruppi musulmani. Il Libano, prima dei conflitti, si reggeva sull'accordo tra notabilato cristiano (specie maronita) e musulmano sunnita. I cristiani (ortodossi, greco-cattolici, armeni e altri), come i drusi o gli sciiti ruotavano attorno a questo accordo. I più poveri erano gli sciiti, anche in assenza di una politica sociale del Governo. La loro esclusione sociale e quella dei poveri, cui solo pochi cristiani e sunniti furono sensibili, ha portato a un movimento di riscatto, guidato dall'iman Mussa al-Sadr (scomparso in Libia): la sua eredità è stata accolta e radicalizzata da Hezbollah, che si è nutrito anche del messaggio di Khomeini e si è legato all'Iran e alla Siria.
Hezbollah conduce una politica di promozione sociale ed educativa del gruppo sciita. Ha forze armate, impegnate nella lotta contro Israele (specie nel nord dello Stato ebraico) e in Siria, a fianco del presidente Al-Assad. Oggi gli sciiti sono forse un terzo della popolazione libanese. Le crisi hanno indotto la popolazione a emigrare, specie i cristiani che oggi sarebbero solo il 32% dei libanesi. L'equilibrio confessionale su cui si fondava il Paese è tramontato, mentre, a fronte di uno Stato debole, Hezbollah è un soggetto politico e militare con una strategia regionale autonoma. Il Libano, terra di asilo, Paese di minoranze, vive di coabitazione tra diversi, ma oggi corre il rischio di sfaldarsi per sempre. Non tornerà più una terra di libertà per i cristiani e per tutti. Si allontana drammaticamente la possibilità di vivere insieme. Un Medio Oriente con un Libano a pezzi è più radicalizzato e meno pacifico.
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