Non si immagina più la pace: c'è solo la guerra all'orizzonte. Ma dai conflitti nessuno mai esce vincitore
Dialogo e diplomazia hanno un ruolo residuale.
Quasi ogni giorno siamo assediati da notizie di attentati, tensioni, bombardamenti e altro. In Medio Oriente, Ucraina e altrove. Notizie di guerra o che preludono a una guerra più grande. Di fronte a questo scenario, si resta attoniti. Non esiste più un quadro di riferimento che spinga a un superamento delle tensioni in corso, nonostante gli interventi di taluni governi. Tutto è talmente intrecciato e i nodi sembrano sempre più stringersi verso il riarmo, i conflitti sanguinosi, l'allargamento del campo di chi si combatte. Anche se - va detto - non mancano anche, qua e là, fragili espressioni di prudenza di chi misura le proprie forze. Ma il vero problema è che si è eclissata la cultura della pace, la visione maturata nei decenni dopo la Seconda guerra mondiale, pur tra tante contraddizioni.
Il 6 e il 9 agosto 1945 - ne celebriamo la ricorrenza in questo mese - per la prima volta nella storia fu usata l'arma atomica contro il Giappone. Non è una memoria ammonitrice? Poco o niente sembra fermare la corsa verso la guerra, nonostante pause e qualche ripensamento. Sembra che non si riesca a immaginare la pace. C'è solo la guerra all'orizzonte. Così si assegna un ruolo residuale al dialogo e alla diplomazia, attività necessarie per tenere insieme un mondo multipolare. La via delle armi e la guerra vengono quasi date per scontate. Ma può veramente essere vinta una guerra oggi? Con i potenti armamenti esistenti, gli intricati rapporti internazionali, la volontà dei popoli, il terrorismo? Che vuol dire vincere la guerra? Le guerre figliano guerre e non finiscono.
Com'è finita la guerra occidentale in Afghanistan? Fiumi di profughi dicono il fallimento di quel progetto di vittoria. E in Iraq? In realtà, se abbiamo consumato ogni visione di pace, non c'è nemmeno una visione di cos'è la guerra e di dove porta. Massimo Cacciari si è chiesto lucidamente: «È possibile vincere la guerra? E le guerre devono per forza essere condotte attraverso massacri e distruzioni? La guerra non può essere vinta». Nazisti, sovietici, occidentali avevano un'idea della "loro" vittoria e del "loro" ordine. Oggi, nella partita con tanti e diversi giocatori, non si pensa a cosa sarà il dopo, ma si è sempre più coinvolti dal gioco bellico che impone mosse e contromosse. Molti dicono che parlare di pace è utopico.
Ma questa guerra, cui rischiamo di avviarci, è un incubo: non si sa cosa sarà, se non morte e distruzione. Bisogna immaginare la pace! Per compiere questa operazione politica e culturale, occorre freddare situazioni incandescenti. Bisogna freddare la guerra e le iniziative aggressive. Le tregue sono strumenti decisivi. La via della convivenza, se non pacifica, almeno non combattuta, è fatta di compromessi, ma anche di ritrovato rispetto del diritto internazionale, delle regole e delle sedi dove si esercita la politica internazionale. Non è la prima stagione di "follia" bellicista che attraversa la storia contemporanea. Mai però con armi così potenti! Sono diverse le responsabilità, ma è ancora più chiaro che tutti - se non si svolta - passeremo attraverso un terribile bagno di sangue. Ed allora moriranno i bambini, segno della barbarie. Sono già morti in Ucraina, Israele, Gaza, Yemen, Sudan e altrove. Anche i figli degli assassini - diceva Elie Wiesel - sono bambini, non assassini.
Editoriale di Andrea Riccardi su Famiglia Cristiana 8 agosto 2024
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