Passa ai contenuti principali

Il dramma del Libano: Il Paese dei cedri resta un grande modello di convivenza

Macerie per le vie di Beirut - 3/10/2024 - Fotogramma

L'attacco di Israele vuole ridurlo alla stessa stregua di Gaza. Ma questo non può accadere

Per Giovanni Paolo II «il Libano è qualcosa di più di un Paese: è un messaggio di libertà e un esempio di pluralismo per l'Oriente come per l'Occidente». Infatti è uno Stato fondato sulla convivenza tra comunità religiose diverse. Tuttavia, per lo spirito del tempo, il pluralismo è da distruggere. Sembra che si voglia cancellare una peculiarità originale sorta sul confine di una delle fratture geopolitiche più delicate del pianeta. In Libano da secoli si incontrano religioni e culture differenti. Dalla nascita dello Stato d'Israele è il confine più delicato tra questo e gli arabi. Su 5 milioni di libanesi ci sono 300 mila rifugiati palestinesi e quasi 2 milioni di profughi siriani. 

Il Libano paga il prezzo più alto all'instabilità regionale. L'attacco di Hamas del 7 ottobre a Gaza ha coinvolto il Paese dei cedri. Oggi i bombardamenti israeliani causano la fuga precipitosa di tanti libanesi verso nord così come ieri i razzi di Hezbollah, a sostegno di Hamas, hanno costretto 100 mila israeliani ad abbandonare la Galilea settentrionale. Hezbollah, gli estremisti sciiti (sciita è la maggioranza dei libanesi), ha preso in ostaggio il proprio Paese da vari anni, rendendolo terra di guerra permanente. I missili e i razzi con cui colpisce il nord di Israele sono talvolta nascosti tra la popolazione. Dal 2006, in Libano sud ci sono i caschi blu dell'operazione Unifil delle Nazioni Unite, tra cui 1200 italiani. 

Hezbollah è divenuta la principale causa dello stallo della democrazia libanese, un sistema etnico-pluralista, basato su un equilibrio di rappresentanza tra le varie componenti. Il "messaggio libanese" è riuscire a consolidare un sistema politico che crei convivenza tra gruppi cristiani e musulmani. È un'eccezione che non piace: gli Hezbollah vogliono il potere nel quadro dell'arco sciita dell'Iran; Israele non si fida di un sistema fragile, dove le milizie sciite hanno largo spazio. Ormai siamo alla "guerra totale" benché localizzata - con l`obiettivo della "eradicazione", ovvero dell'eliminazione radicale, dell'avversario. 

Nelle menti degli strateghi israeliani non è diverso da quel che si fa a Gaza, anche se più complesso ed esteso. La fine del Libano aprirebbe - speriamo che non avvenga - un vuoto enorme. Con le sue contraddizioni, Beirut resta una rarità in una regione in cui tutti vogliono l'omologazione. In Medio Oriente le terre di coabitazione sono cadute, una dopo l'altra, sotto i colpi di regimi e guerre: il piccolo Libano non vuole capitolare. La guerra è già fallita: mai Hezbollah riuscirà a conformare i libanesi al proprio modello politico-religioso; mai Israele potrà cancellare l'eccezione libanese. Piuttosto ciascun attore si vorrà prendere un pezzo di Libano. 

Esportare la guerra verso il Libano significa allargarla: è la decisione del governo Netanyahu, anche se dice di non volerlo. Le armi stanno cancellando la civiltà del vivere insieme, l'unica possibile in un mondo intricato e abitato ovunque da gruppi etnici e religiosi differenti. A Parigi, i leader di differenti religioni, riuniti dalla Comunità di Sant'Egidio, hanno lanciato un appello: «Le religioni, nel profondo della loro tradizione e dei tesori della loro sapienza, sanno che la pace è la vita del mondo (...) veramente umana e degna». Bisogna fermare le guerre e costruire la civiltà del vivere insieme.


Editoriale di Andrea Riccardi su Famiglia Cristiana del 6/10/2024

Commenti

Post popolari in questo blog

Solo il cardinale Matteo Zuppi sta cercando davvero la pace

Il cardinale Matteo Zuppi ricevuto dal metropolita Antonij, presidente del Dipartimento per le Relazioni Ecclesiastiche Esterne del Patriarcato di Mosca  La Santa Sede non rompe mai le relazioni, specie in tempo di crisi, e si sforza di "umanizzare la guerra" La situazione in Ucraina, con una guerra quasi al terzo anno e l'inverno alle porte, si annuncia difficile. La resistenza ucraina, appoggiata dagli occidentali, non può bloccare il processo di decomposizione della società, anche a seguito di gravi distruzioni causate dai bombardamenti russi, con l'esodo all'estero di 7 milioni di ucraini. Il popolo sta pagando un prezzo enorme e non si vede la fine.  Intanto, in Russia, a Kazan, si sono riuniti, presieduti da Putin, i Brics cui partecipano Brasile, Cina, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Etiopia, India, Iran e altri. Nonostante non ci sia unanimità, la riunione a Kazan mostra che la Russia di Putin non è isolata. I governi occidentali - scrive Salvatore Settis s

I corridoi lavorativi: modello di accoglienza e buon senso

Sono un modo sicuro per integrare i rifugiati e avere la manodopera di cui abbiamo bisogno La sorpresa è venuta dalla società italiana: a fronte dei 151.000 posti messi in palio dal decreto flussi (non stagionali), le domande degli italiani sono state oltre 690.000. Una massa di richieste a dimostrazione dell'enorme bisogno di manodopera in quasi tutti i settori. La decrescita demografica rende urgente cercare manodopera all'estero.  La paura e l'allarmismo hanno paralizzato la politica che non ha trovato una soluzione ragionevole. I Governi della Ue sono immobilizzati dallo spirito del tempo: paura dei migranti e idea che ognuno debba fare da sé.  Ma i dati parlano chiaro: l'economia europea ha bisogno di manodopera, ma soprattutto l'inverno demografico rende sempre più urgente un rimedio. In Italia c'è forte inquietudine: secondo i dati dell'Istituto Cattaneo, dovremo andare a cercare gli immigrati, pena il crollo dell'economia perché per cinque pens

La guerra non è inevitabile e il mondo non si deve rassegnare

Papa Francesco entrando all'Arena di Verona saluta Andrea Riccardi  È la costante profezia del Papa: per realizzarla, bisogna investire tutti su diplomazia e dialogo Papa Francesco ha presieduto, sabato 18 maggio, all'Arena di Verona, l'incontro Giustizia e pace si baceranno . L'"Arena di Pace", nata nel 1986, ha avuto sei edizioni. Due nel 1991, il periodo della prima guerra del Golfo, che segnò la massima mobilitazione per la pace. Dal 2003 questo evento non si teneva più.  Negli ultimi due decenni il movimento della pace ha coinvolto meno persone. Resta ancora in Italia un tessuto importante di realtà associative, ma complessivamente il tema della pace è uscito dal dibattito pubblico. Sembra un paradosso, si parla meno di pace proprio quando l'Europa si trova di fronte a un grave conflitto che, a partire dall'aggressione russa, sta dilaniando l'Ucraina. Si aggiunge la drammatica situazione in Terra Santa: l`aggressione terroristica d'Israe