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Israele cerca di convincere gli Usa al via libera per l'attacco. Le conseguenze? Imprevedibili



Il Governo di Israele sta facendo ogni sforzo per convincere gli americani che è venuto il momento di attaccare l'Iran.
Sono più di dieci anni che Benjamin Netanyahu cerca di persuadere le varie amministrazioni Usa di non fidarsi di Teheran. Con Obama si era creata una divergenza, soprattutto per l'accordo che Washington aveva siglato con gli iraniani sul nucleare civile. 

Grande produttore di petrolio e gas, da tempo l'Iran vuole dotarsi di energia atomica, anche se l'idea è vista come una grave minaccia da Gerusalemme. Per questo Israele non vuole nessun accordo. Anzi, ha già mostrato in passato di opporsi a simili eventualità in altri Paesi della regione, bombardando sospetti siti nucleari in Siria e Iraq e cercando di frenare il programma iraniano. Con Trump, Netanyahu l'ha avuta vinta almeno sull'accordo, che è stato cancellato. 

Anche l'uccisione da parte Usa, a Baghdad, del comandante dei guardiani della rivoluzione, Qassam Soleimani, ha mostrato la convergenza tra Stati Uniti e Israele. Tuttavia Netanyahu non è riuscito a spingere Washington al passo definitivo. 

Il problema è che più Israele alza i toni e più gli americani e i loro alleati pensano che si stia esagerando. Non è forse vero che ormai il divario tecnologico-militare tra Iran e Israele era divenuto incolmabile a favore di Tel Aviv? 

Ma il 7 ottobre e il pogrom di Hamas hanno cambiato tutto: gli Stati Uniti hanno spostato davanti alle coste di Israele una forza navale in funzione di deterrenza. Il segnale era chiaro: gli Usa non avrebbero tollerato il coinvolgimento dell'Iran (e di Hezbollah libanese) in un attacco generale contro Israele. 

Ma l'amministrazione Biden ha cercato di contenere le reazioni israeliane. Non è piaciuta l'eliminazione di Reza Zahedi, un altro leader dei guardiani della rivoluzione, ucciso dal Mossad il 1° aprile a Damasco. Tuttavia Washington, assieme a sauditi e giordani, ha contribuito ad aprile ad abbattere buona parte dello sciame di missili e droni che compivano la rappresaglia iraniana. Recentemente è avvenuta la stessa cosa dopo l'eliminazione di Nasrallah in Libano. 

Ora però le cose cambiano: la mancanza di una forte reazione di Hezbollah, gli apparenti limiti logistici e militari iraniani, hanno persuaso Netanyahu che è il momento propizio per farla finita con entrambi. L'invasione del Libano è iniziata. Netanyahu ha promesso la cacciata degli ayatollah e dei pasdaran. Sarà vero che Teheran ed Hezbollah sono così deboli da essere sul punto di crollare? Nessuno lo sa con certezza. Anzi numerosi leader e non pochi analisti temono colpi di coda del regime islamico. Sta di fatto che gli israeliani sembrano riuscire a portare gli americani dalla loro. 

L'ultima contro-rappresaglia di Teheran è stata seguita da gravi minacce israeliane che si apprestano a rispondere colpendo i siti petroliferi o nucleari, anche se Washington frena ancora su tale ipotesi. Israele è convinto oggi della debolezza di Teheran: quindi è possibile una definitiva spallata al regime. Tuttavia l'Iran non è un Paese qualunque: è un antico impero con un forte sentimento nazionale che può coinvolgere la popolazione, pur molto stanca del regime islamico e della compressione di ogni libertà. E poi la guerra è un ingranaggio che potrebbe allargarsi in maniera imprevedibile.

Editoriale di Andrea Riccardi su Famiglia Cristiana del  20/10/2024



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