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L'inverno demografico, dopo le culle, sta svuotando le aule


Nei prossimi dieci anni avremo un milione e mezzo di studenti in meno. È questa la priorità

Più di sette milioni di bambini e ragazzi (italiani e non) vanno ogni giorno a imparare qualcosa di nuovo nelle aule della scuola pubblica. Certo, questa appare invecchiata e a corto di risorse, confrontata con gli standard internazionali. 

Gli edifici stessi sembrano spesso un po' vecchi e mal tenuti. Non è bello per i ragazzi che affrontano la prima grande sfida "pubblica" della loro vita. Negli ultimi decenni si sono perse molte occasioni per rinnovarla: difficile preparare in queste condizioni gli studenti alle sfide della rivoluzione digitale e dell'intelligenza artificiale! Alcuni chiedono più psicologi in classe, altri più materie civiche, altri più scienza, altri maggiore disciplina. Tutte cose che - ovviamente - potrebbero migliorarla. 

Ma c'è da chiedersi: quale la missione della scuola nel prossimo futuro? L'inverno demografico, dopo aver svuotato le culle, sta svuotando anche le aule. Nei prossimi dieci anni la scuola avrà un milione e mezzo di studenti in meno. Tra meno di vent'anni anche all'università ci saranno 78.000 matricole in meno. La carenza di laureati rischia di compromettere lo sviluppo del Paese. L'unico modo per invertire la tendenza è investire sui giovani. 

Non bisogna perdere nessuno degli alunni. In Italia, la dispersione scolastica è invece alta, in particolare al Sud, in periferia e tra i ragazzi origine straniera. A questi la scuola garantisce troppo poco il supporto linguistico per superare lo svantaggio di partenza. 

La grande sfida dell'integrazione si gioca a scuola. Dai tempi di don Milani sappiamo bene che «la scuola ha un problema solo, i ragazzi che perde». Circa due milioni e mezzo di italiani tra i 15 e i 34 anni non studiano e non lavorano: c'è un analfabetismo di ritorno e funzionale molto elevato e inoltre siamo il penultimo paese in Europa per numero di laureati. 

I ragazzi che lasciano la scuola spesso vengono da famiglie disagiate: l'Ocse afferma che ci vogliono cinque generazioni per un bambino povero per fare il cosiddetto" salto" di classe sociale. Un bambino che ha genitori che hanno fatto solo la terza media ha una probabilità su due di non completare il percorso scolastico, mentre alla laurea arriva solo 1'8% di questi piccoli. 

C'è bisogno di più scuola! Un bambino svantaggiato, se frequenta la scuola dell'infanzia, ha il doppio di possibilità di recuperare durante l'adolescenza lo svantaggio. È necessaria un'azione sinergica che non lasci sola la scuola. È necessario investire sugli insegnanti anche come trattamento stipendiale: questi cooperano in maniera decisiva a un futuro migliore per l'Italia, attraverso l'educazione. Oggi il prestigio dell'insegnante non è quello del passato, la funzione didattica si perde in troppe pratiche burocratiche.

Tuttavia bisogna rispondere alla rassegnazione con più parole, idee, visioni. Lo dico pensando anche agli 800.000 "nuovi italiani", cresciuti tra noi, ma non ancora nostri concittadini. La scuola è inclusione, invece aumentano le distanze: è lo spazio in cui si impara a vivere insieme in una società dai cammini divaricati. In un tempo di "Terza guerra mondiale a pezzi", come dice Francesco, gli insegnanti di ogni ordine e grado insegnano a ragazzi e ragazze che vivere insieme è un bene irrinunciabile. 


Editoriale di Andrea Riccardi su Famiglia Cristiana del 13/10/2024

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