Il cardinale Matteo Zuppi ricevuto dal metropolita Antonij, presidente del Dipartimento per le Relazioni Ecclesiastiche Esterne del Patriarcato di Mosca |
La Santa Sede non rompe mai le relazioni, specie in tempo di crisi, e si sforza di "umanizzare la guerra"
La situazione in Ucraina, con una guerra quasi al terzo anno e l'inverno alle porte, si annuncia difficile. La resistenza ucraina, appoggiata dagli occidentali, non può bloccare il processo di decomposizione della società, anche a seguito di gravi distruzioni causate dai bombardamenti russi, con l'esodo all'estero di 7 milioni di ucraini. Il popolo sta pagando un prezzo enorme e non si vede la fine.
Intanto, in Russia, a Kazan, si sono riuniti, presieduti da Putin, i Brics cui partecipano Brasile, Cina, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Etiopia, India, Iran e altri. Nonostante non ci sia unanimità, la riunione a Kazan mostra che la Russia di Putin non è isolata. I governi occidentali - scrive Salvatore Settis su La Stampa - sorreggono l'idea di "vittoria assoluta", «come se non si sapesse che una vittoria totale (dell'uno o dell'altro) è impossibile. Non mancano voci autorevoli, e tra queste soprattutto il Papa, che si prodigano in favore della pace». La pace non è cedere alla protervia dell'aggressione, ma immaginare e negoziare una soluzione che, prima di tutto, risparmi il sacrificio dell'Ucraina ed eviti allargamenti del conflitto. Per immaginare un futuro di pace non si possono rompere i contatti.
Settis ha ragione: papa Francesco ha parlato sempre di una via di pace, pur non facendo mancare la sua vicinanza agli ucraini. Ma non ha solo parlato. Ha dato impulsi importanti per l'azione. Non ha rappresentato solo la coscienza morale di fronte a una guerra senza fine, ma ha provato a indicare una strada. È il significato dei viaggi del cardinale Zuppi, nel corso del 2023, a Kyiv, Mosca, Washington e Pechino. Questa missione è stata da alcuni considerata una presa di distanza dalla resistenza ucraina e accusata di ingenuità.
Il Papa ha voluto che un cardinale incontrasse le parti in conflitto nella loro terra e parlasse con i grandi attori del mondo per «ascoltare, rispondere, dialogare», ha detto Zuppi. La Santa Sede non rompe mai le relazioni, anzi le incrementa in tempo di crisi. Eppure chi non si allinea alla posizione binaria e polarizzata creata dalla guerra può apparire ingenuo, o peggio. Paolo Mieli, inizialmente critico, ha dichiarato: «Il cardinale Zuppi è l`unico che ha fatto qualcosa. Con tanti chiacchieroni, lui è andato li e ha riportato indietro dei bambini».
Il cardinale non demorde: tra il 14 e il 16 ottobre era di nuovo a Mosca. Lavora per "umanizzare la guerra", per il ritorno a casa dei bambini ucraini in Russia e lo scambio dei prigionieri, ma è attento alle prospettive di pace. Ha incontrato il ministro degli Esteri, Lavrov, e il consigliere per le questioni internazionali, Ushakov. I suoi contatti con i rappresentanti ucraini sono costanti, mentre il Papa ha da poco ricevuto in Vaticano il presidente Zelensky e il segretario di Stato Parolin ha incontrato Lavrov a New York. La "diplomazia" religiosa non ha alcun interesse di parte, è abitata da una convinzione profonda che «la guerra è il fallimento della politica e dell'umanità», spera sempre che il male della guerra non prevalga. In questo spirito, Zuppi ha compiuto anche un pellegrinaggio nel monastero di Donskoy a Mosca, raccogliendosi in preghiera sulla tomba del patriarca Tichon, morto nel 1925 (forse ucciso) durante la persecuzione bolscevica. Prima di morire aveva detto: «La notte sarà molto lunga e molto oscura». I credenti sanno andare oltre la notte e sperare.
Editoriale di Andrea Riccardi su Famiglia Cristiana del 3/11/2024
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