Una riflessione sulle elezioni negli USA: finisce un'era, non è solo un problema politico ma morale e spirituale
Il neoeletto presidente degli Sati Uniti Trump insieme al presidente uscente Biden il 13 Novembre - Foto White House |
Trump ha vinto le elezioni alla presidenza americana. Il dibattito sulla sua possibile vittoria dura ormai da anni, perché il tycoon di New York ha sempre detto di voler tornare al potere, anzi di rappresentare un'alternativa all'America di Biden, di Kamala Harris e dei democratici.
Il suo non è un comune cambio di presidenza. Non lo dico per drammatizzare, ma rivela un orientamento profondo di una parte cospicua del popolo americano che, smarrito e in difficoltà, cerca "protezione" in una figura carismatica, coraggiosa e aggressiva, che si fa carico dei propri interessi, "unto di Dio", perché scampato a un attentato.
Eppure questa figura ha molti profili ambigui, legalmente e democraticamente: basterebbe ricordare l'assalto sconcertante al Campidoglio del 2021 da parte dei suoi sostenitori. Lo stesso vicepresidente di Trump, Mike Pence, ha promulgato, come presidente del Senato, la vittoria elettorale di Biden ed è stato attaccato dagli ultraconservatori.
La vittoria di Trump segna la fine di un mondo: quello tradizionale del Grand Old Party, che affonda le sue radici nella metà dell`Ottocento, che è divenuto ormai un partito populista e trumpiano. Ma, in qualche modo, la vittoria pone seri interrogativi anche ai sostenitori di Kamala Harris e ai democratici. C'è troppa ideologia woke nella campagna della Harris, che molto ha insistito sui diritti individuali. Tutto questo non basta: in alcuni Stati in cui ha vinto Trump, i referendum hanno approvato ugualmente l'allargamento del diritto all'aborto. Cavalcare i diritti non basta. In questo mondo complesso, la gente si sente spaesata e cerca qualcosa e qualcuno che la rassicuri.
Negli Stati Uniti c'è una crisi profonda di valori e d'identità, in maniera non dissimile dal resto dell'Occidente. Il mondo protestante è da anni in crisi. Era quello che animava gran parte del gruppo dirigente Wasp (white, anglican, saxon, protestant), che fino a ieri aveva un ruolo determinante nel Paese. Mentre prospera il neoprotestantesimo, quello della teologia della prosperità e del neoevangelismo. Trump si colloca in modo emozionale, ma efficace nel vuoto valoriale. Non è un modello di cristiano, ma afferma che l'America «ha bisogno della religione. È come la colla che tiene insieme e noi non ce l'abbiamo». Appare evidente la strumentalizzazione dei valori e della fede, ma non lo è per la gran parte degli elettori di Trump e dei populisti. Il neopresidente - come scrive efficacemente il New York Times - trasforma il partito repubblicano in una sorta di Chiesa di Trump. Politica, interessi, fede, fiducia messianica nel futuro dell'America si mescolano insieme.
Restano aperte le domande sul futuro della politica del neopresidente, sulle quali tanti s'interrogano in queste ore. Alcune, però, risuonano anche per la politica europea. Non esiste una consunzione delle sinistre tanto puntate sui diritti individuali? Anche nel cuore delle masse europee abitano spaesamento e vuoto di riferimenti e valori. Il grave indebolimento delle Chiese protestanti in Europa ha generato una carenza di riferimenti che, in passato, sono stati essenziali. Dal vuoto all'idea che un leader populista possa essere una risposta, il passo non è così lungo. La vittoria di Trump con tanta evidenza mette in luce che non è la fine del mondo, ma che un mondo è finito, quello dei primi due decenni del XXI secolo, e che oggi il problema non è più solo politico, ma morale e anche spirituale.
Editoriale di Andrea Riccardi su Famiglia Cristiana del 17/11/2024
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