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La Georgia sospesa tra Russia e Unione europea


Mosca tenta di tornare a esercitare la sua influenza su aree frontaliere dell'ex Urss

Il partito filorusso Sogno georgiano, che già deteneva la maggioranza, ha vinto le elezioni del 26 ottobre scorso, concentrando la propria campagna sulla pace con slogan come "Niente guerra" o "Scegliamo la pace". Un fiume di immagini del conflitto ucraino ha accompagnato la campagna. I risultati danno Sogno georgiano al 54%, ma sono contestati e ci sarà un parziale riconteggio. Tuttavia larga parte dei georgiani non vuole ripetere l'esperienza del 2008: la Georgia ha già vissuto la guerra, uscendone a pezzi e perdendo parte del proprio territorio (Abkhazia e Ossezia del Sud). 

In Moldova il secondo turno delle presidenziali ha visto prevalere Maia Sandu, vicina all'Ue, anche se il referendum sull'Europa è passato per un soffio. La paura dei moldavi si deve alla vicinanza dei combattimenti e dei soldati russi in Transnistria, la Repubblica autoproclamata che vuole stare con Mosca. In molti Paesi frontalieri con la Russia persiste l'attrazione verso l'Europa, ma almeno la metà dei cittadini sono prudenti, temendo la guerra. 

Qualcuno parla di intimidazione alimentata da Mosca. Altri vi vedono un dato geopolitico: prossimità geografica significa sempre influenza. La frontiera dell'ex Urss è costellata da una serie infinita di frizioni e indeterminatezze di confine, dove il dato geografico si mescola con quello etnico e linguistico. La Russia vive con difficoltà il controllo dei suoi oltre 60 mila chilometri di confini, a cui oggi corrispondono ben 14 Stati indipendenti. 

Nella mentalità russa la perdita di controllo delle frontiere rappresenta un'ossessione antica. Esiste una nostalgia per l`epoca sovietica: dalla caduta dell'Urss, sono iniziate le guerre di frammentazione, cui gli ex satelliti hanno fatto da cassa di risonanza. La serie di guerre senza fine è iniziata in Georgia con il conflitto contro l'Abkhazia musulmana (1992-93, ripreso poi nel 1998 e infine nel 2008) e in Ossezia (1991-92). Sono seguite le guerre cecene (1994-96 e 1999-2000); del Daghestan (1999) e Inguscezia (2007-2015). Ci sono state poi le guerre civili in Tagikistan (1992-97 e 2010-12) e Kirghizistan (2010), e infine il conflitto tra questi due Paesi (2021), assieme alle crisi kazake (2022). 

Sono da ricordare anche l'occupazione della Crimea e del Donbass (dal 2014) da parte russa e le guerre armeno-azere (1994-2022). In tutti questi casi Mosca è stata coinvolta. Il collante in passato è stato spesso il russo non solo come lingua, ma anche come cultura e ideale: quello della "grande Russia". Oggi tutto è cambiato. 

Con la guerra in Ucraina, Mosca tenta di tornare a influenzare aree più vaste, come in Georgia o Moldova. A Tbilisi vi sono oltre 100 mila russi rifugiati per sfuggire al reclutamento militare. Ma Mosca conserva un forte potere di influenza. Né l'Unione europea né gli Stati Uniti potranno sostituirsi alla Russia in Asia centrale o nel Caucaso meridionale. 

Non va dimenticata la politica costante dei leader russi: ricostruire, almeno in parte, l'impero. Putin aveva cercato di convincere la Bielorussia ad aderire a un progetto di "integrazione" dei due Paesi. Ma Minsk non ha voluto (per ora) farsi fagocitare. Accanto alla guerra in Ucraina, tanto altro è in movimento nell'ex Urss in Paesi in cui le opinioni pubbliche sono spesso drammaticamente polarizzate.


Editoriale di Andrea Riccardi su Famiglia Cristiana del 10/11/2024

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