Palestinesi rientrano a Jabaliya, nel Nord di Gaza, alla luce del tramonto - Foto da x.com |
La pressione americana ha messo alle strette il premier Netanyahu, che mira a restare al potere
Il piano della tregua a Gaza è quello di Joe Biden, ma Donald Trump ha deciso di sostenerlo. Probabilmente la pressione americana delle amministrazioni, quella uscente e quella entrante, ha messo in difficoltà il riluttante primo ministro Netanyahu, convinto della sua strategia bellicosa su Gaza.
Israele ha bisogno dell'appoggio Usa, ma in particolare è Netanyahu che vuole restare al potere, anche perché i giudici continuano a inseguirlo. Nonostante la tregua giunga con mesi di ritardo e il dramma dei 50.000 morti palestinesi (forse di più), molti oppositori israeliani ammettono che l'indebolimento di Hezbollah e dell'Iran siano un successo del Governo.
Sono in molti, inclusi i Paesi arabi sunniti, ad essere soddisfatti del nuovo quadro geopolitico in cui l'asse sciita è spezzato. Prova ne è che il Libano ha finalmente eletto il presidente. Ma gli atroci fatti di sangue di questa guerra continueranno a pesare: non è possibile accettare un conflitto senza limiti che ha coinvolto i civili alla stregua dei militari.
Hamas ha compiuto un pogrom che non ha risparmiato nemmeno i neonati. È avvenuto l'odioso rapimento degli israeliani. In Israele c'è l'attesa di ritorno dei rapiti e sono state forti le pressioni sul premier.
Hamas si è nascosta dietro la popolazione civile palestinese della Striscia, trasformandola in obiettivi. Il Governo israeliano dal canto suo è caduto nella trappola feroce, colpendo tutti senza distinzione e utilizzando l'Intelligenza artificiale che non permette appello alle sue decisioni. Alla fine emerge, da quasi 500 giorni di sangue, il fatto che i due popoli non vogliono o non possono coabitare.
La tregua è però una pausa importante da un punto di vista umanitario e politico. È stata studiata in varie fasi: la possibilità di errore quindi è molto alta. La polarizzazione la rende fragile. I partiti suprematisti israeliani hanno votato contro e, per non lasciare la coalizione, hanno chiesto mano libera in Cisgiordania. Perseguono un disegno di espulsione dei palestinesi: ma verso dove?
I palestinesi non riescono a esprimere una leadership unitaria. Hamas è ancora in campo, ma indebolita.
L'accordo prevede, nella terza fase, la gestione di Gaza da parte di Abu Abbas: niente è meno certo di questo. Cinesi e turchi hanno più volte provato a mettere insieme senza successo i gruppi palestinesi. Finché i palestinesi non avranno una leadership unitaria, saranno politicamente indeboliti. Netanyahu tratta con Hamas che dice di non voler riconoscere, anzi di voler distruggere.
Gli americani staranno attenti a non farsi sfuggire il controllo del processo. Trump non può accettare nessun tipo di fallimento e deve dimostrare di controllare anche l'alleato israeliano. Se lo aspettano gli altri suoi alleati: sauditi e turchi. I primi sono in grado di metter mano alla ricostruzione di Gaza. I secondi rappresentano la chiave per mantenere l'ordine nella Siria post-Assad con un Governo che piace ai Paesi sunniti.
Il destino palestinese si potrebbe legare a quello di Damasco nell'ottica della ricostruzione. Gli attori coinvolti sono gli stessi. Tutti gli osservatori internazionali auspicano che la tregua si trasformi in pace. Perché accada, serve di più che una mutua de-escalation, perché il muro di odio si è profondamente rafforzato.
Editoriale di Andrea Riccardi su Famiglia Cristiana del 26/1/2025
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