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Anastasio presiede la liturgia a Tirana il 6 Settembre 2015 - Foto Sant'Egidio |
Spentosi a 95 anni, il patriarca ortodosso insegnò che gli egoismi non portano alla pace
La Chiesa può rinascere. Era evidente ai funerali dell'arcivescovo ortodosso Anastasio d`Albania, morto a 95 anni, celebrati il 29 gennaio. Si è visto come la Chiesa sia risorta con un popolo radunato attorno a lui nella Cattedrale della Resurrezione a Tirana, da lui costruita e inaugurata nel 2014, dopo che quella antica era stata distrutta dal regime comunista per far posto alla costruzione di un albergo. Infatti, con l'avvento del regime comunista nel 1945, tutte le religioni sono state perseguitate: islam sunnita, ortodossi, cattolici e bekthasi (musulmani sufi, di derivazione sciita, con aspetti sincretici).
Nel 1967, addirittura, il dittatore Enver Hoxha aveva proclamato l'Albania primo Stato ateo del mondo, mentre era interdetto e severamente punito ogni atto religioso. Chiese, moschee, monasteri venivano distrutti o utilizzati per altri scopi. Molti preti, cattolici o ortodossi, conoscevano il carcere, il campo di concentramento o la morte.
Il cristianesimo era finito in Albania: ogni educazione religiosa ai figli da parte dei genitori era punita. Il regime voleva costruire l'"uomo nuovo" comunista, lottando contro la religione. La Chiesa ortodossa era fragile, anche se era più numerosa di quella cattolica: da sempre dipendente dal mondo greco, era autocefala solo dal 1922 e riconosciuta come tale da Costantinopoli nel 1937.
Nell'Albania comunista, la Chiesa era stata cancellata, eccetto qualche icona nei musei statali, tra cui quello dell'ateismo. Al momento della crisi del regime, dal 1990, l'ortodossia era priva di chiese, senza preti, se non alcuni sopravvissuti, anziani e stremati. Il patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo, inviò in Albania il vescovo greco Anastasio, personalità di grande cultura e apertura, a lungo missionario in Africa.
Anastasio Yannoulatos, arcivescovo di Tirana e primate d'Albania, è stato l'autore della "resurrezione" della Chiesa dalle rovine materiali e spirituali. All'inizio, radunando personalmente i fedeli dispersi, poi lavorando per ricostruire le di chiese, infine formando preti, monaci e vescovi albanesi. I suoi esordi sono stati circondati dal sospetto governativo che volesse "grecizzare" la Chiesa. Nonostante sia arrivato in Albania a 61 anni è stato un protagonista della vita religiosa e sociale del Paese.
Anastasio ha costruito 150 chiese e aperto circa 400 parrocchie. Il suo prestigio era evidente ai funerali per la presenza di quasi tutti i rappresentanti delle Chiese ortodosse, nonostante la divisione tra Mosca e Costantinopoli.
Con Anastasio è rinata una Chiesa distrutta. Non è però ripiegata su sé stessa o ferita dal passato.
L'Arcivescovo credeva che il contrario della pace non sia la guerra, ma l'egoismo: personale certo, ma anche di gruppo, nazionale ed ecclesiale. Per questo, a livello albanese e nei difficili Balcani, Anastasio ha impegnato sé e la Chiesa per sostenere il vivere insieme. Le sue visioni hanno «un rapporto particolare con le strade della storia e con il fango della quotidianità», scrive un teologo ortodosso. Con lui, nato nel 1929, scompare uno degli ultimi leader ortodossi impegnati, con uno sguardo largo, per la pace e la creazione di quella che il patriarca Bartolomeo chiama la «civiltà ecumenica». È un vuoto che si sente in un tempo di nazionalismi, che esercitano un'attrazione anche sul cristianesimo.
Editoriale di Andrea Riccardi su Famiglia Cristiana del 16/2/2025
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