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Famiglie sfollate dopo l'arrivo delle truppe dell'M23, Goma 11 febbraio - Foto di Yvonne Kapinga |
Gli Stati sono deboli, spesso corrotti e soggetti a molteplici attori esterni che alimentano le crisi
A Goma, nel Nord Kivu, regna la paura. Sono entrate le truppe del movimento M23, appoggiate dai ruandesi. Non c'è pace in questa regione, con 680.000 rifugiati, stipati nei campi (cui si sono aggiunti altri 180.000 per il nuovo conflitto), ricca di minerali, tra cui terre rare e coltan, l'80% di quello mondiale.
Molti si chiedono se non sia intenzione dei ribelli avanzare fino a Kinshasa, capitale del Congo, per far cadere il regime del presidente Tshisekedi. È la traiettoria di Laurent Désiré Kabila nel 1997, quando rovesciò il regime di Mobutu. A Goma l'esercito congolese si è dissolto: non è il presagio di quanto accadrà nel resto del Paese, nonostante il presidente Tshisekedi invochi la resistenza?
Quel che accade in Kivu non è un'eccezione in Africa. Il continente è troppo dimenticato? Anni fa la domanda avrebbe avuto una risposta positiva: l'Africa abbandonata alla povertà, all'instabilità, allo sfruttamento. Oggi è più complesso: è troppo "ricordata"!
Tanti sono gli attori che operano nel continente in vari modi: oltre agli occidentali, la Cina, la Turchia, la Russia, l'India, l`Arabia Saudita, i Paesi del Golfo e altri. A fronte di interessi pressanti, in genere lo Stato africano è debole: a causa della fragilità strutturale e politica, ma anche delle classi dirigenti cleptocratiche. La corruzione è una realtà molto diffusa nella gestione dei grandi interessi e nella vita quotidiana dei cittadini. Nei Paesi africani, divenuti indipendenti dal potere coloniale all'insegna del nazionalismo e spesso del socialismo, oggi generalmente prevale il privato, non solo nell'economia.
Ci sono soggetti non statuali che mettono in crisi gli Stati e dominano vaste regioni: non solo I'M23, ma i movimenti jihadisti nel Sahara e nel Sahel, o quelli etnici. Ci sono poi i gruppi mercenari, come i russi della Wagner. I colpi di Stato sono frequenti. Realizzare processi di pace non è facile, perché gli attori sono molteplici, spesso senza riferimenti ideologici.
Così il dialogo è rifiutato e ci si affida solo alle armi, come avviene ora in Sudan tra le forze armate sudanesi e le cosiddette forze di supporto rapido: 12 milioni di sfollati e una crisi umanitaria di proporzioni enormi. In Africa gli sfollati sono più di 45 milioni, il 3% della popolazione. Che fare? I grandi Paesi del mondo non intendono essere i gendarmi dell'Africa. L'Italia ha lanciato il Piano Mattei e speriamo abbia applicazione efficace.
Gli africani si sentono impotenti. Eppure sono ostaggi, in larga parte, della situazione.
Proprio a Goma, nel 2007, è stato assassinato un giovane della Comunità di Sant'Egidio della città, Floribert Bwana Chui, dirigente della dogana alla frontiera con il Ruanda, che aveva rifiutato di farsi corrompere e aveva resistito a violente minacce: un grosso carico di riso avariato doveva passare la frontiera. Floribert non aveva ceduto: è stato ucciso brutalmente dai criminali per dare un "esempio", perché non succedesse più. Si era ribellato a una delle regole non scritte del Paese: "non credere che sarai proprio tu a raddrizzare il Congo".
La sua memoria è un messaggio per i giovani congolesi e africani. Papa Francesco ha riconosciuto il suo martirio e Floribert avrebbe dovuto essere beatificato a Goma. Ma ora c'è la guerra e lì non sarà possibile. Tuttavia la sua memoria parla di una forza debole che resiste al male.
Editoriale di Andrea Riccardi su Famiglia Cristiana del 9/2/2025
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