Una pace senza dialogo è premessa di nuove guerre - La diplomazia è stata emarginata. Bisogna restituire autorità alle istituzioni internazionali
Siamo in una fase nuova dei rapporti internazionali. Questa fase è stata inaugurata dalla riabilitazione della guerra e della forza come strumenti per risolvere i conflitti e imporre i propri interessi. La guerra in Ucraina ne è un esempio. Un conflitto, voluto dai russi, cui ha risposto un'inaspettata resistenza ucraina, mai affrontato diplomaticamente.
Gli occidentali, che hanno fin dall'inizio appoggiato Kyiv, non hanno lavorato anche per una soluzione della guerra, il cui prezzo è stato pagato dagli ucraini. La diplomazia, in quasi tutte le crisi, è in disarmo o irrisa. Il duro colloquio del presidente Trump con Zelensky alla Casa Bianca ha mostrato la crisi della diplomazia di fronte ai riflettori. La diplomazia è anche riservatezza. Del resto siamo nel tempo della trasparenza assoluta, quindi l'esibizione della forza non viene nascosta.
Non si può negare che Trump abbia reintrodotto il tema della pace, tanto occultato. Il presidente mira forse ad allentare il rapporto tra Cina e Russia, ristabilendo con quest'ultima relazioni strette. Per fare pace, però, ci vuole dialogo.
Una pace senza dialogo umilia una parte, quella ucraina, che ha resistito all'attacco russo. Una pace imposta pone le premesse di nuove guerre, come accadde dopo la Prima guerra mondiale. L'Europa deve agire. Lo hanno fatto non tanto le istituzioni di Bruxelles, ma i Governi di Parigi e Londra. Aspettiamo i primi passi del cancelliere tedesco Merz.
Anche Roma ha un ruolo per il suo rapporto con Trump, seppure la coalizione governativa fatichi a trovare una comune visione. Ma l'Italia ha una grande storia diplomatica: Paese della Nato, fedele agli Usa, ha avuto un ruolo in Medio Oriente e ha dialogato con l'Urss. In Europa c'è bisogno dell'Italia.
Un mondo complesso, conflittuale, senza ordine, richiede un dialogo permanente. Papa Francesco, scrivendo all'Accademia per la vita, ha parlato di «una progressiva irrilevanza degli organismi internazionali, che vengono minati anche da atteggiamenti miopi, preoccupati di tutelare interessi particolari e nazionali». Chiede la promozione di «un multilateralismo che non dipenda dalle mutevoli circostanze politiche o dagli interessi di pochi... un compito urgente che riguarda l'intera umanità».
La pace si costruisce nel realismo. Questo sconfigge la mancanza di senso della realtà tipica delle passioni nazionalistiche e imperialistiche, che accecano i popoli con una propaganda assolutistica. Ci si deve invece radicare nella convinzione che, malgrado le diversità, si può costruire la via per vivere insieme.
Abbiamo assistito alla riabilitazione della guerra e all'emarginazione della diplomazia. I rapporti oggi sono spesso brutali e bellicosi.
Ma non bisogna essere pessimisti: è il momento di rilanciare il dialogo costruttivo. Si devono ravvivare le istituzioni internazionali, che ricordano l'esistenza di un bene comune mondiale. Del resto non tutto è così negativo. In Turchia, dopo quarant'anni di conflitto, si è aperta una fase negoziale tra il presidente Erdogan e i curdi del Pkk, considerato fino ad oggi un'organizzazione terroristica.
«La storia è piena di sorprese», diceva Giovanni Paolo II che nutriva una grande speranza e per questo credeva nel dialogo. Sulle rovine della società internazionale di ieri si può forse costruire un mondo di pace.
Editoriale di Andrea Riccardi su Famiglia Cristiana del 16/3/2025
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