La Pasqua unica dei cristiani rafforza la nostra speranza. L'ecumenismo è il presupposto per costruire la pace, grazie anche alla forza dei martiri
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Foto Sant'Egidio |
I1 mondo sembra tanto diviso: le guerre che non vedono fine, le barriere più alte per i rifugiati e i migranti, il taglio della cooperazione (l'hanno fatto gli Stati Uniti e si accinge a farlo l'Olanda), i dazi e la guerra commerciale, i nazionalismi... Si vanno distruggendo quei processi di convergenza, messi in campo faticosamente.
Basterebbe pensare alla crisi delle Nazioni Unite, nate dal crogiuolo della Seconda guerra mondiale per «salvare le future generazioni dal flagello della guerra, che per due volte nel corso di questa generazione ha portato indicibili afflizioni all'umanità». Oggi sembrano inattuali o indesiderate. Colpo dopo colpo vengono minate quelle acquisizioni verso un nuovo ordine mondiale alla luce del comune destino dei popoli. Del resto, la riabilitazione della guerra è un fatto evidente, su cui abbiamo insistito più volte. Davanti a questo scenario viene da essere pessimisti.
Nel 1942, durante la guerra, in un momento duro, il pastore Dietrich Bonhoeffer, poi ucciso dai nazisti, scriveva invece: «...L'ottimismo non è un modo di vedere la situazione presente ma è un'energia vitale, una forza della speranza laddove altri si sono rassegnati». Sono parole che mi tornano in mente in questo Giubileo della speranza in un mondo preoccupato.
La Pasqua 2025, per una coincidenza dei calendari, è celebrata nella stessa domenica da tutte le Chiese cristiane. Ricordiamo anche il primo grande Concilio della Chiesa indivisa, tenutosi nel 325 d.C. La frammentazione del mondo e i nazionalismi contagiano anche le Chiese e i cristiani.
Siamo in ritardo e timidi rispetto a questi segni. Il patriarca Athenagoras diceva: «Al centro dell'umanità in via di riunificazione deve trovarsi la Chiesa indivisa». Il suo programma era la pace dei popoli e l'unità dei cristiani: «Chiese sorelle, popoli fratelli».
Bisognerebbe riflettere più coraggiosamente sul legame tra la pace e l'unità dei cristiani, riprendendo una vera passione ecumenica. Su questa strada, però, camminano non tanto i teologi, i responsabili ecclesiali o le commissioni ecumeniche, ma soprattutto i martiri che sono avanti a tutti.
Giovanni Paolo II, al Colosseo, disse: «Noi siamo uniti sullo sfondo dei martiri, non possiamo non essere uniti». Francesco ha iscritto nel martirologio cattolico i ventun martiri della Chiesa copta, uccisi dai terroristi sulla spiaggia di Sirte solo perché cristiani. Oggi è di nuovo un tempo di martiri, perché l'odio, la violenza, il disprezzo della fede si riversano contro cristiani, buoni e umani.
Il 9 maggio nella basilica romana di San Paolo si terrà la commemorazione ecumenica dei nuovi martiri, in continuità con quella del Giubileo del 2000. Allora Wojtyla disse: «Laddove l'odio sembrava inquinare tutta la vita senza la possibilità di sfuggire alla sua logica, essi hanno manifestato come l`amore sia più forte della morte».
I martiri testimoniano la "forza debole" della fede. La fede può spostare le montagne di odio e di male. Nella Pasqua del Giubileo della speranza, sono così attuali le parole di Bonhoeffer sull'«ottimismo come volontà di futuro»: «la forza di tener alta la testa anche quando tutto sembra fallire, la forza di reggere i colpi, la forza che non lascia mai il futuro all'avversario ma lo reclama per sé».
Cristo risorto ci chiama a non essere cristiani spaventati e inerti. Sì, non vogliamo lasciare il futuro senza la luce e la speranza del Vangelo. Per ciascuno, per le nostre comunità, per le famiglie, per il mondo.
Editoriale di Andrea Riccardi su Famiglia Cristiana del 20/4/2025
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